Il secondo appuntamento della Rassegna Caravaggio in musica ospite del Complesso San Michele, con il concerto “Amor Vincit Omnia” previsto per venerdì 14 febbraio, alle ore 19, è affidato all’ensemble Antica Consonanza, con il soprano Renata Fusco, Ermenenziano Lambiase al virginale, Guido Pagliano, viola da gamba e flauto, Raffaella Parrocchia violino e Gabriele Rosco, liuto e chitarra barocca.
“La Rassegna di Musica Barocca, ideata e realizzata da Fondazione Carisal nell’ambito de “I Venerdì Musicali”, che fa da colonna sonora alla visione della “Presa di Cristo” del Caravaggio, in Mostra fino al 23 marzo 2025, presso il Complesso San Michele a Salerno, permette di avvicinarsi all’arte attraverso un percorso culturale ispirato ai canti ed alla musica che eseguiva ed ascoltava Caravaggio. Stiamo registrando un record di presenze e di copertura mediatica che ci proietta verso l’obiettivo che la Fondazione Carisal si era posto da tempo e che sta diventando finalmente realtà: contribuire a diffondere il nostro patrimonio culturale ed artistico ad un più vasto pubblico possibile, in particolare ai tantissimi giovani che ogni giorno visitano la Mostra presso il Complesso San Michele”- ha dichiarato il Presidente Domenico Credendino.
Il secondo appuntamento, per il cartellone musicale realizzato da Fondazione Carisal in collaborazione con i“Concerti d’Estate di Villa Guariglia”, con la direzione tecnica di Olga Chieffi, si terrà venerdì 14 febbraio, alle ore 19, al Complesso San Michele a Salerno. Di scena, in una serata, ispirata, sia dal quadro che alla festa degli innamorati, che prende il titolo da un’ altra opera di Michelangelo Merisi, “Amor omnia vincit”, lo storico ensemble L’Antica Consonanza, che vedrà Ermenenziano Lambiase al virginale, Guido Pagliano, viola da gamba e flauto, Raffaella Parrocchia violino e Gabriele Rosco, liuto e chitarra barocca, con ospite il soprano Renata Fusco.
“Amor non ti cred’io; ma fai cieco il desio di chi ti crede: che s’hai pur poca vista, hai minor fede”. Così dichiara il coro guariniano alla fine di una scena emblematica del Pastor Fido: nel terzo atto dell’opera, Mirtillo e Amarilli, giovani abitanti dell’idilliaca Arcadia, vengono coinvolti in una versione dell’odierna “mosca cieca”. Amarilli, bendata e disorientata, si ritrova nelle braccia di Mirtillo; quest’ultimo ne è segretamente innamorato, nonostante sia destinata a sposarsi con Silvio per placare l’ira divina provocata da un’antica pena commessa dalla popolazione d’Arcadia. Così, mentre i due amanti errano privi di vista Amarilli in senso letterale, per via della benda sugli occhi, Mirtillo in senso metaforico per via del suo amore tormentato il coro condanna la natura falsa e traditrice dell’amore cosiddetto “cieco”. Il filo invisibile della vista che lega amanti ed amati costituisce il tema centrale di questo programma. La vista dell’amato o dell’amata rappresenta una fonte sia di gioia che di disperazione per l’innamorato, scandendo il ritmo della sua esistenza tormentata; nel caso di un amore irraggiungibile, essa è l’unico modo di entrare in contatto con la persona desiderata; lo sguardo inoltre non deve necessariamente essere ricambiato spesso, anzi, non lo è per stimolare l’infatuazione dolceamara dell’amante.
Fondamentalmente, la percezione dell’innamorato può essere completamente scardinata dalla realtà, poiché la persona innamorata è capace di proiettare il proprio stato emotivo su qualsiasi aspetto dell’essere amato, a prescindere dalle caratteristiche oggettive di quest’ultimo.
Ispirandosi all’immagine guariniana dell’amore cieco ed accecante, l’ensemble presenta una narrazione musicale incentrata sull’ archetipo dell’Innamorato, avviluppato in un gioco di mosca cieca esistenziale. Giocando con elementi visivi e sonori, i membri dell’ensemble, i quali cantano accompagnandosi con strumenti storici, presentano un programma variegato di opere vocali e strumentali di compositori attivi in Italia all’inizio del Seicento, certamente il programma da concerto del tempo del Caravaggio. Sono almeno quattro le donne, protagoniste dei suoi ardenti amori, che Michelangelo Merisi da Caravaggio frequentò nei suoi anni romani. Tutte furono legate al mondo della prostituzione e tutte furono utilizzate dal pittore come modelle per molte delle sue opere romane. Il mito dell’artista errante, dissoluto e volgare, frequentatore di bettole e prostitute, non nacque, come si potrebbe pensare, nella Parigi di fine Ottocento, ma a Roma molti secoli prima, tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento. Fu proprio lui, Michelangelo Merisi, conosciuto semplicemente come Caravaggio, a dargli vita, passando alla storia, sin da subito, come un artista ribelle, imitatore delle cose “vili” e amante del popolo. Sarà lui il primo grande maestro a fare della vita bohémien una prerogativa per gli artisti dei secoli successivi. Ma, l’immagine poetica dell’emarginato tra gli emarginati è enormemente distante dal vero Caravaggio che, invece, godette per gran parte della sua vita dell’ammirazione di uomini importanti ed estremamente colti. È specialmente grazie al loro interesse che il nome di Caravaggio echeggia ancora oggi tra le pagine dell’arte. Fu solo il temperamento spavaldo e scontroso, tipico di tanti “galant’huomini” del suo tempo, e l’innato spirito picaresco a costringere il pittore ad abbandonare il suolo romano e le importanti amicizie, voltando le spalle alla fortuna. La vita dell’artista lombardo è tuttavia perfettamente in linea col suo tempo. Come molti altri personaggi visse pienamente la Roma della sua epoca che, come altre città, brulicava di locande, osterie, straccioni, mendicanti e, soprattutto, prostitute, la loro compagnia non era disdegnata dagli artisti e nemmeno dagli “uomini illustri”.
Giovanni Giacomo Gastoldi da Caravaggio, con il quale principierà il programma, divenne famoso principalmente per i suoi Balletti, molto in voga ai suoi tempi. Infatti, il balletto, dal quale nasceranno successivamente le canzoni ballate, ebbe proprio origine nel XVI secolo presso le corti rinascimentali italiane. Nati dalle canzonette e dalle villanelle popolari, i balletti venivano impiegati per accompagnare spettacoli di danze mimate. Tra i più famosi balletti del Gastoldi si ricorda proprio Amor vittorioso, dalla fresca e comunicativa invenzione.
Seguirà, “Amarilli mia Bella”, da Le nuove Musiche di Giulio Caccini, raccolta estremamente importante poiché attestano il passaggio dal madrigale prettamente polifonico a quello monodico, e forniscono elementi fondamentali sulla prassi esecutiva dell’epoca.
La melodia non rimane vincolata al metro poetico, ma cerca di assecondare le parole e i moti del sentimento; le intonazioni vogliono esprimere i concetti delle parole grazie ad una naturale libertà ritmica. Il testo segue un’agile linea melodica che si arricchisce di cadenze, ornate di abbellimenti; il canto è accompagnato dal basso continuo, spesso eseguito sullo strumento dallo stesso cantante. Nel 1602, con il titolo “Le Gratie d’Amore”, Cesare Negri, pubblica un trattato sulla teoria del balletto dove espone il principio delle “cinque posizioni di base”; la raccolta è organizzata in modo che le prime idee educative siano propedeutiche per i passaggi più complessi. Due anni più tardi, con qualche aggiunta e piccole modifiche, il trattato venne ripubblicato come “Nuove Inventioni di balli”.
L’opera di Negri, da dove ascolteremo “Fedeltà d’amore”, contiene danze che, generalmente, sono più complesse di quelle descritte nelle opere di Caroso; si tratta di un grande volume suddiviso in varie parti; una riguarda il galateo della danza, una vasta sezione è dedicata alle variazioni sulla Gagliarda, un’altra ancora fornisce informazioni dettagliate sui balli più popolari, sulla musica più appropriata, sull’organizzazione della sala da ballo e sulle riverenze. Si passerà, quindi, a “Chi vidde più lieto e felice di me?” di Bellerofonte Castaldi, in cui l’autore libera la briglia alla fantasia e si permette passaggi difficili o sorprendenti - mai dando la minima indicazione né di tempo, né di frase, né di ornamento, né di dinamica all’esecutore “perché chi havrà giuditio per sonare sicuro questa intavolatura l’havrà ancora per cosî fatti rimansugli”. Che tradotto in linguaggio esplicito più o meno suona: “Che i cretini restino lontani dalla mia musica”, un’aria, questa, che è un intero dramma in miniatura, nella quale due personaggi, un uomo e una donna, prima s’innamorano, poi si disputano per gelosia quindi si ritrovano, sotto lo sguardo di Amore, che alla fine d’ogni strofa ironizza. Ed ecco il “Sì dolce il tormento” di Claudio Monteverdi, datato 1624. La canzone parla di essere negato l'amore e di trovare il desiderio di esso più dolce di quello che sarebbe se la "donna malvagia" restituisse effettivamente i suoi affetti. Si procederà, poi, con un’aria di follia di Giovanni Stefani, Amante Felice, prima di passare ad A che più l’arco tendere e T’amai gran tempo, dal secondo libro di Arie musicali, di Stefano Landi, musica di grande teatralità che attraverso le inflessioni vocali esprime tutta l'emozione contenuta nel discorso. In questo modo, i compositori del XVII secolo cercano di introdurci nel mondo dei sentimenti e delle sensazioni. Musica che tocca i sensi e la pelle attraverso la monodia accompagnata; voce e strumenti il cui accompagnamento è totalmente subordinato alla poesia, essenza e fondamento della “seconda pratica”. Ancora un’altra pagina di Cesare Negri, Catena d’Amore, quindi Giovanni Felice Sances con “Usurpator tiranno”, Cantade a voce sola libro secondo una passacaglia sopra il basso ostinato affidato agli strumenti, ove il compositore scrive dei veri e proprio arabeschi vocali. L’esigenza è anche quella di sondare tutte le possibilità tecniche ed espressive della voce umana e di creare nel pubblico “meraviglia e stupore”. Si gioca sugli affetti, sui virtuosismi, sui significati (o doppi sensi) del testo poetico e il programma continuerà con Viver e morire di Andrea Falconieri dal I libro di Villanelle. Fra le innumerevoli combinazioni di strumenti possibili per la realizzazione del testo musicale, in questo programma si è scelto – seguendo una prassi storicamente documentata – di accostare i tre strumenti che il compositore suonava e conosceva meglio. Gran finale con “Chi non mi conosce”, il celebre lamento della pazza, firmato da Antonio Giramo e chiusura con Renata Fusco, la quale ri-entrerà in scena per regalarci la Cantata sopra l’arcicalascione di Giuseppe Porsile, ai suoi tempi tra i maggiori protagonisti dell’affermazione della scuola napoletana nel mondo, una pagina che offre l’occasione per scoprire uno strumento oggi assolutamente desueto come il calascione, che accompagna la voce di soprano secondo una prassi molto diffusa in passato nel sud d’Italia, iniziandoci ad uno dei segreti della canzone napoletana, che non è soltanto nella vocalità morbida nella sua vena melanconica e ornata alla maniera orientale, ma anche negli strumenti che accompagnano, suadenti nella loro espressività, in cui apprezzeremo il senso assai spiccato dei limiti della coloratura virtuosistica e un’attenzione per la sottolineatura musicale del testo.