QUEI SILENZI PIENI DI PAROLE. DA SILENZIO CANTATORE A NERUDA, DA SIMON AND GARFUNKEL ALLA MISTICA DI SIMON WEIL 

enzo buona

Estate 1922. Gaetano Lama, compositore napoletano che dal 1910 lavorava presso la Casa editrice La Canzonetta di cui era direttore Libero Bovio, passava le vacanze come ogni anno a Marina di Camerota. Dalla strada che da Via Bolivar scende fino al lungomare Trieste, si trovava una casa, oggi villa Mariosa, un piccolo gioiello affacciato a strapiombo sul mare dove si può vedere, tutta la costa fino alla riserva naturale degli Infreschi e della Masseta. Qui, una sera mentre era nel pieno godimento di quel panorama, si ispirò e compose le note di Silenzio Cantatore dove la barcarola era dedicata ad una Maria, che sotto il sole bagnava con l'acqua di mare l'erba per farne le corde per l'allevamento delle cozze.

Grazie a Silenzio Cantatore, quella casa dal 13 aprile del 1996, si arricchì di una targa a celebrazione della canzone: “Affacciandosi a questa marina, Libero Bovio e Gaetano Lama, nell'ombra azzurra del silenzio percepirono il tralucere di un vocalismo lirico come momento di pienezza d'amore”. E' fu così che nacque "Silenzio cantatore" presentata per la prima volta al pubblico al Teatro Bellini in occasione della Piedigrotta. La canzone rappresenta una straordinaria analisi dell'estasi e della sofferenza. Sublimi queste parole

Mari',

Dint' 'o silenzio,

Silenzio cantatore,

Nun te dico parole 'ammore

Ma t' è dice stu core pe' mme.

Volendo, dentro ci si può trovare Catullo come Rimbaud e soprattutto da quello che Gabriel García Márquez definì il più grande poeta del XX secolo, Pablo Neruda, con la sua bellissima  Restare in silenzio (1958). Il poeta cileno ci ricorda che, attraverso il silenzio, è possibile interrompere la frenesia che ci allontana dalla triste non comprensione di noi stessi. La poesia comincia con un invito, a contare fino a dodici, come si faceva da bambini per giocare a nascondino, ma, finita la conta, invece di muoversi, il poeta dice di rimaner fermi. Ferme le lingue, ferme le braccia, ferme le gambe. Invece di cercar fuori, cercare dentro. Tutti zitti parliamo la stessa lingua, quella del silenzio. Niente corse, niente inseguimenti, nessun movimento: anche coloro che stanno preparandosi alla guerra ne vedranno, in silenzio, la futilità. Ma non è un invito a restare immobili, quello di Neruda, è un invito a interrompere i propri gesti meccanici, veloci, quelli che ci impediscono di capire ciò che stiamo facendo, di capire la vita. Un soffio creatore che ci incoraggia a esistere in un altro modo. Grazie al quale comprenderci meglio, essere più trasparenti e rispettosi per dare forma a una realtà più bella, dignitosa e positiva per tutti. A saper comunicare a superare l’indifferenza, vero male delle persone.

Qualche anno dopo, nel 1964, nacque una canzone capolavoro sull’incomunicabilità: ”The Sound of silence“ di Simon & Garfunkel. "Hello darkness my old friend" è uno degli incipit più celebri della storia del rock. Una grande critica alla società dell’apatia, dell’indifferenza. Il mondo definito come un susseguirsi di parole senza significato. In un mondo perennemente frenetico, bombardato da continue immagini, suoni, illuminato dalla luce del “dio neon“, il silenzio sembra essere il mantello invisibile che la gente porta addosso. Ognuno è vestito da un abito di egoismo e insicurezza: nessuno che comunichi, nessuno che si relazioni con l’altro. Il silenzio non è assenza 

E qui s'introduce il grande tema dell'attenzione alle parole tanto caro alla filosofa Simone Weil il cui nome circola, come una filiera sommersa in Rete, tra ragazze e ragazzi scontenti dell’ottusità spirituale del presente. Saper fare silenzio dentro di noi, far tacere le tante parole che giudicano, che stigmatizzano, che interpretano, che a tutti i costi vogliono trovare soluzioni veloci. Le parole che presumono di aver già capito senza prima aver affiancato, condiviso, amato. Solo da questo silenzio può nascere l’ascolto, un silenzio che è spazio, apertura all’altro. Il silenzio che matura grazie all'attività meditativa alla fine è semplicemente non prevedere nulla, se non l'imprevedibile. Non attendere nulla se non l'insperato.di comunicazione: si preferisce tacere e isolarsi in un silenzio assordante, in una solitudine buia piuttosto che affrontare paure, dubbi, incertezze. preferendo riempire l’aria delle solite parole inutili e vuote, vecchi cliché, frasi consumate. Il silenzio come un cancro: lento e inesorabile, consuma gli uomini e soffoca le genti in una morsa invisibile di solitudine, di isolamento, spingendo ognuno a sentirsi meno compreso, meno empatico, un po’ più emarginato.

Simone Weil la definisce 'attesa senza oggetto'. Cioè gratuita, non dettata dalla richiesta, ma di ciò che vuole giungere. Attesa dell'imprevedibile. Non attendo ciò che desidero, ma ciò che credo sia bene per me. Simone Weil morì a soli 34 anni, dopo varie crisi “mistiche”: una vita di privazioni e stenti, di dedizione alla causa dei poveri e reietti. Essa trovò nella figura travolgente di Gesù Cristo, il senso stesso dell’esistenza, e incarnò il Vangelo della solidarietà, della prossimità fino al sacrificio di sè: rifiutò di entrare nella Chiesa cattolica, era ebrea e negli anni tremendi delle persecuzioni naziste, non si decise mai per il battesimo cristiano, poichè credeva profondamente nel “cristianesimo anonimo” che era la via del Cristo silente nelle strade del mondo.

Quel Cristo silente evocata dal Salmo 22. Il Padre parlerà, ma dopo, con la risurrezione. La Croce è il momento in cui tocca al Figlio manifestare tutta la sua fiducia nel Padre. Tocca al Crocifisso manifestare fino a che punto un Figlio di Dio condivide l’esperienza del silenzio che l’uomo incontra davanti al suo Dio. Tocca al Crocifisso rivelare fino a che punto giunge l’amore di Dio. Tutta questa sorprendente rivelazione è racchiusa nel silenzio di Gesù sulla Croce.

*docente di marketing turistico e local development