Champagne per brindare ad un incontro: da Peppino di Capri alla Bibbia all’Iliade, dalla Traviata al Don Giovanni
Peppino di Capri ha portato il twist in Italia, ha vinto Sanremo e cantato coi Beatles, è passato dalle luci soffuse dei night al Carnegie Hall di New York. La sua Champagne, scritta Mimmo Di Francia, Sergio Iodice e Salvatore De Pasquale, nacque di getto in un taxi nel traffico napoletano. Fu presentata a Canzonissima 1973, e da allora ha fatto il giro del mondo divenendo uno dei brani italiani più eseguiti con “Volare”, “’O Sole Mio”, “Quando Quando Quando” o “Con te Partirò”.
Champagne narra di una breve ed intensa storia d’amore e di sesso, l’incontro a una festa ed un uomo che ripensa con malinconia a quell’incontro, brinda da solo, festeggiando la fine di un amore, ed inizio della sua catarsi.
Quel ritornello Champagne per brindare ad un incontro ha fatto epoca: conferiva un’ambientazione chic, mondana; ascoltarlo faceva tirare un sospiro d’aspettativa soprattutto a quelli che avevano sempre associato quel vino alle coppette basse e larghe delle cene festive con famiglia riunita, riservate spesso ad un economico Moscato comprato al bar o al supermercato.
Sia come sia, di brindisi con le bollicine ne abbiamo traccia a partire dalla Bibbia (“…L’Eterno ha in mano una coppa, ove spumeggia un vino pien di mistura. Egli ne mesce; certo, tutti gli empi della terra ne succeranno e berranno le fecce…”, Salmo 75:8) e nell’Iliade di Omero, che nel Libro XVII, descrivendo contadini a pranzo, recita “ … un uomo che andava e poneva nelle loro mani un nappo spumante di dolcissimo Bacco …”.
Virgilio, nel canto I dell’Eneide, riferendosi a Bizia, dignitario della regina Didone, scrive: “… ei prontamente diede di piglio a la spumante coppa, e con l’oro ricolmo allagò il petto …”.
Da qui arriviamo agli antichi romani, che si rallegravano con due tipi di vino effervescente, l’Aigleucos ed il Proptropum, non lontani dai nostri spumanti. Grande estimatore di questo vino fu Plinio il vecchio che scriveva attorno al 70 d.C. una sorta di recensione da Tripadvisor: “Qui c’è un vino che è veramente eccellente, l’Aigleucos, naturalmente dolce con effervescenza persistente”.
Nel Medioevo si brindava facendo cadere un po’ di bevanda nel bicchiere dell’altro, un modo per rassicurare gli altri commensali che in nessun bicchiere ci fosse veleno, per dimostrare che si ci poteva fidare l’un dell’altro e lasciandone ancora cadere un po’ per bagnarsi dietro le orecchie, come augurio di buona fortuna.
Qualcuno si fece la domanda del perché nella canzone, si brinda proprio a “champagne” e non a “spumante”, malgrado la canzone era sanremese e lo spumante il nostro vino nazionalpopolare? Forse perché la canzone era stata scritta inizialmente per Charles Aznavour e solo in un secondo momento Peppino Di Capri decise di diventarne interprete direttamente.
Comunque al di la di ciò, lo champagne ha sempre impazzato, specie nella musica colta e nell’opera lirica in particolare. Come simbolo stesso della festa, del godimento e del lusso era immancabile ad esempio nell'operetta, a cavallo tra Ottocento e Novecento, tra Parigi e Vienna, conobbe il suo periodo d'oro. Tante le opere in cui appare ed almeno tre in cui lo champagne è espressamente citato. Consolatorio per il conte Danilo de La Vedova Allegra di Franz Lehar; sfarzoso e testimone della banalità del denaro ne Le vie Parisienne di Jaques Offenbach; ingannevole e colpevole ne Il Pipistrello di Johann Strauss.
Ma soprattutto nella lirica chi non ricorda il “Libiamo ne' lieti calici che la bellezza infiora / e la fuggevol ora s'inebria a voluttà, / Libiam ne' dolci fremiti /che suscita l'amore, / poiché quell'occhio al core / onnipotente va. / Libiamo, amor fra i calici / più caldi baci avrà” nell'atto primo de La Traviata di Giuseppe Verdi quando Alfredo ed i suoi ospiti cantano con gioia, esaltando le capacità inebrianti del vino, a casa di Violetta.
E che dire del brindisi di Turiddu nell’osteria di sua madre, nella Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, o anche del celebre brindisi del Macbeth di Verdi, quando Macbeth, Re di Scozia organizza un banchetto di festa per celebrare la sua ascesa al potere. Lo stesso avviene nel Don Giovanni di Mozart in cui l'infaticabile seduttore, nel finale dell'opera andrà incontro alla morte. Non prima di essersela spassata al meglio però, come quando nel primo atto, ordina al servo Leporello di preparare una gran festa nella quale Don Giovanni canta: “Fin ch'han dal vino calda la testa, / una gran festa fa preparar!”, un'aria divertente, passata alla storia proprio come “aria dello Champagne”.
La sola cosa certa è che lo champagne rimane e rimarrà sempre il simbolo incontrastato di prestigio e della conquista, della festa e dell’avventura, della convivialità. Dal suo paradiso di bollicine, il monaco Dom Pèrignon, inventore secondo la leggenda del metodo di fermentazione, forse non si aspettava anche un altro riconoscimento: dal 2015 il titolo di “patrimonio UNESCO“. A essere protetta, in verità, non è il vino in se ma il contesto paesaggistico, quei luoghi simbolo come pochi come l’avenue de Champagne a Épernay, il corso dove si trovano le boutique dei grandi marchi a strapiombo sulle cantine, e tutti i coteaux, i pendii delle colline intornoa Épernay, in particolare Hautvillers, sopra la Marna, dove c’è la famosa abbazia di Dom Pérignon. Prosit!
*docente di marketing turistico e local development
Champagne per brindare ad un incontro: da Peppino di Capri alla Bibbia all’Iliade, dalla Traviata al Don Giovanni
Peppino di Capri ha portato il twist in Italia, ha vinto Sanremo e cantato coi Beatles, è passato dalle luci soffuse dei night al Carnegie Hall di New York. La sua Champagne, scritta Mimmo Di Francia, Sergio Iodice e Salvatore De Pasquale, nacque di getto in un taxi nel traffico napoletano. Fu presentata a Canzonissima 1973, e da allora ha fatto il giro del mondo divenendo uno dei brani italiani più eseguiti con “Volare”, “’O Sole Mio”, “Quando Quando Quando” o “Con te Partirò”.
Champagne narra di una breve ed intensa storia d’amore e di sesso, l’incontro a una festa ed un uomo che ripensa con malinconia a quell’incontro, brinda da solo, festeggiando la fine di un amore, ed inizio della sua catarsi.
Quel ritornello Champagne per brindare ad un incontro ha fatto epoca: conferiva un’ambientazione chic, mondana; ascoltarlo faceva tirare un sospiro d’aspettativa soprattutto a quelli che avevano sempre associato quel vino alle coppette basse e larghe delle cene festive con famiglia riunita, riservate spesso ad un economico Moscato comprato al bar o al supermercato.
Sia come sia, di brindisi con le bollicine ne abbiamo traccia a partire dalla Bibbia (“…L’Eterno ha in mano una coppa, ove spumeggia un vino pien di mistura. Egli ne mesce; certo, tutti gli empi della terra ne succeranno e berranno le fecce…”, Salmo 75:8) e nell’Iliade di Omero, che nel Libro XVII, descrivendo contadini a pranzo, recita “ … un uomo che andava e poneva nelle loro mani un nappo spumante di dolcissimo Bacco …”.
Virgilio, nel canto I dell’Eneide, riferendosi a Bizia, dignitario della regina Didone, scrive: “… ei prontamente diede di piglio a la spumante coppa, e con l’oro ricolmo allagò il petto …”.
Da qui arriviamo agli antichi romani, che si rallegravano con due tipi di vino effervescente, l’Aigleucos ed il Proptropum, non lontani dai nostri spumanti. Grande estimatore di questo vino fu Plinio il vecchio che scriveva attorno al 70 d.C. una sorta di recensione da Tripadvisor: “Qui c’è un vino che è veramente eccellente, l’Aigleucos, naturalmente dolce con effervescenza persistente”.
Nel Medioevo si brindava facendo cadere un po’ di bevanda nel bicchiere dell’altro, un modo per rassicurare gli altri commensali che in nessun bicchiere ci fosse veleno, per dimostrare che si ci poteva fidare l’un dell’altro e lasciandone ancora cadere un po’ per bagnarsi dietro le orecchie, come augurio di buona fortuna.
Qualcuno si fece la domanda del perché nella canzone, si brinda proprio a “champagne” e non a “spumante”, malgrado la canzone era sanremese e lo spumante il nostro vino nazionalpopolare? Forse perché la canzone era stata scritta inizialmente per Charles Aznavour e solo in un secondo momento Peppino Di Capri decise di diventarne interprete direttamente.
Comunque al di la di ciò, lo champagne ha sempre impazzato, specie nella musica colta e nell’opera lirica in particolare. Come simbolo stesso della festa, del godimento e del lusso era immancabile ad esempio nell'operetta, a cavallo tra Ottocento e Novecento, tra Parigi e Vienna, conobbe il suo periodo d'oro. Tante le opere in cui appare ed almeno tre in cui lo champagne è espressamente citato. Consolatorio per il conte Danilo de La Vedova Allegra di Franz Lehar; sfarzoso e testimone della banalità del denaro ne Le vie Parisienne di Jaques Offenbach; ingannevole e colpevole ne Il Pipistrello di Johann Strauss.
Ma soprattutto nella lirica chi non ricorda il “Libiamo ne' lieti calici che la bellezza infiora / e la fuggevol ora s'inebria a voluttà, / Libiam ne' dolci fremiti /che suscita l'amore, / poiché quell'occhio al core / onnipotente va. / Libiamo, amor fra i calici / più caldi baci avrà” nell'atto primo de La Traviata di Giuseppe Verdi quando Alfredo ed i suoi ospiti cantano con gioia, esaltando le capacità inebrianti del vino, a casa di Violetta.
E che dire del brindisi di Turiddu nell’osteria di sua madre, nella Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, o anche del celebre brindisi del Macbeth di Verdi, quando Macbeth, Re di Scozia organizza un banchetto di festa per celebrare la sua ascesa al potere. Lo stesso avviene nel Don Giovanni di Mozart in cui l'infaticabile seduttore, nel finale dell'opera andrà incontro alla morte. Non prima di essersela spassata al meglio però, come quando nel primo atto, ordina al servo Leporello di preparare una gran festa nella quale Don Giovanni canta: “Fin ch'han dal vino calda la testa, / una gran festa fa preparar!”, un'aria divertente, passata alla storia proprio come “aria dello Champagne”.
La sola cosa certa è che lo champagne rimane e rimarrà sempre il simbolo incontrastato di prestigio e della conquista, della festa e dell’avventura, della convivialità. Dal suo paradiso di bollicine, il monaco Dom Pèrignon, inventore secondo la leggenda del metodo di fermentazione, forse non si aspettava anche un altro riconoscimento: dal 2015 il titolo di “patrimonio UNESCO“. A essere protetta, in verità, non è il vino in se ma il contesto paesaggistico, quei luoghi simbolo come pochi come l’avenue de Champagne a Épernay, il corso dove si trovano le boutique dei grandi marchi a strapiombo sulle cantine, e tutti i coteaux, i pendii delle colline intornoa Épernay, in particolare Hautvillers, sopra la Marna, dove c’è la famosa abbazia di Dom Pérignon. Prosit!
Enzo Longobardi
docente di marketing turistico e local development