Il “Laboratorio Teatro Classico” del Liceo Statale “A. Manzoni” di Caserta aggiunge una prestigiosissima tappa al suo decennale percorso artistico. Questa volta è l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” a riconoscere ai giovani attori casertani e ai loro docenti i segni di una presenza ormai autorevole sul territorio per quanto concerne la Drammaturgia antica.
Il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali dell’Ateneo campano, infatti, nella persona della Direttrice, prof. M. Luisa Chirico, ha invitato il Laboratorio del Manzoni a mettere in scena l’ultimo lavoro appena presentato al Festival Internazionale del Teatro Classico dei Giovani, organizzato dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa. L’occasione è data dalla Summer School che si terrà a Teano tra l’8 e il 12 luglio prossimi, dal titolo: Teatro di Teanum Sidicinum e la civiltà dello spettacolo nel mondo antico, promossa dallo stesso Dipartimento e curata dal prof. Gianluca Del Mastro. L’esibizione avverrà mercoledì 10 luglio alle ore 20,30 al Teatro Romano di Teano.
Percorso decennale, si diceva. Sì, perché da quando la preside del Manzoni Adele Vairo e i docenti impegnati nel Laboratorio hanno dato vita a questa realtà unica nella sua specie, sono passati appunto dieci anni. Dieci anni di storie e di giovani che continuano ad incantarsi alle storie dei Greci, perché… “ Voi Greci, siete sempre bambini e non avete alcun insegnamento che sia canuto per l'età”. Così, infatti, recita una delle battute di “ANAKYKLOSIS , ovvero dell’Eterno Ritorno”, l’opera in cui i giovanissimi interpreti, studenti dal primo al quinto anno liceale, si cimenteranno con codici espressivi diversi: dall’epico al tragico, dal comico al lirico. Una grande contaminazione che investe lo spettatore attraverso lingue, costumi, suoni e stranianti associazioni temporali: tutto volto a dimostrare l’attualità di un messaggio e di una Parola, quella dei Greci, che di “antico” ha solo la convenzione linguistica appartenente al significante, mentre si staglia ancora di più in una semantica poderosa ed inequivocabilmente fuori dal tempo per diventare un consiglio dettato al cuore di chi lo com-prende.
Il primo quadro dell’opera affronta il tema della guerra e la condanna della stessa: attraverso le pagine di Omero e di Eschilo si arriva fino al coro dell’ Aiace di Sofocle, in cui l’uomo viene identificato come l’artefice di ogni abominio: non è ancora forse vero?
Nel secondo quadro si mettono in scena le delusioni storiche delle utopie attraverso il sarcasmo e la pungente ironia di Aristofane nell’ Ecclesiazuse: quando l’ideale del “comunismo” viene preso troppo alla lettera, c’è il rischio di mettere in comune anche quello che non ti aspetti: i sentimenti! E qui, d’incanto e con un audace ma riuscito “volo pindarico”, si assisterà ad un particolarissimo omaggio ad un classico della tradizione partenopea: la lingua napoletana, infatti, nelle idee degli ideatori del lavoro, veste i panni di autentico sermo familiaris e perfetto codice da kòmos: per dire cosa? Che le baruffe e le litigate non hanno tempo…
Ultima scena ha come protagonista il mare: quel mare sempre uguale a se stesso, che ti affascina ma che ti distrugge se lo affronti con disperazione. E’ il triste monito dei “naufragi” di un tempo e dei “naufraghi” di ogni tempo, soprattutto di quelli di cui si è perso, nei flutti, l’ultimo segno di riconoscimento: il nome.
Ognuno dei quadri ha richiami con un tempo fuori da quello raccontato, fino alle tristi cronache del nostro tempo: perché tutto ritorna. E nella clessidra del tempo ritornano i drammi, le gioie, le delusioni e poi - perché, come suggerisce sempre Omero, “ quale generazione di foglie tale quella degli uomini” - i drammi e poi ancora le gioie e poi…