enzo 1LA PASTIERA: TRA SIRENE E SUORE (SISTER ACT - ART CAKING)

A Napoli la pastiera non è un dolce di Pasqua, ma il dolce in assoluto che celebra l’arrivo della Primavera: non è possibile festeggiare la Pasqua senza di essa. Qualunque sia la ricetta la pastiera va preparata in anticipo, non oltre il giovedì o il venerdì santo, per dare agio a tutti gli aromi di bene amalgamarsi in un unico e inconfondibile sapore in appositi "ruoti" di ferro stagnato, che in essi viene anche servita. Inutile quindi ribadire quanto i napoletani ed i campani tutti ne vadano fieri e orgogliosi di quel ripieno inconfondibile dal profumo di fior d’arancio, grano e canditi.

Ma come è nata la pastiera? Una leggenda la avvolge. Riguarda la Sirena Partenope, che abitando nella baia di Castel dell’Ovo teneva compagnia con il suo canto melodioso al popolo il quale per ringraziarla del suo canto divino, la omaggiò con sette ricchi doni: la farina, simbolo di ricchezza; la ricotta, assimilabile all’abbondanza; le uova, incarnazione della fertilità; il grano cotto nel latte, fusion dei mondi animali e vegetali; i fiori d’arancio, essenza del profumo della Campania; le spezie e i frutti canditi, accoglienza ai popoli d’oriente e d’occidente; lo zucchero semolato, il dolce canto della Sirena. Partenope, felicissima dei doni, si sarebbe immersa per portare i suoi regali agli dei che incantati da tali ingredienti, pensarono di amalgamarli tutti insieme dando vita al dolce tanto caro ai napoletani.

Al di la della leggenda, forme di pastiere rudimentali, somiglianti alle focacce rituali dell'epoca di Costantino il Grande, che i catecumeni ricevevano nella sacra notte di Pasqua al termine della cerimonia battesimale pare accompagnassero le feste pagane celebranti il ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l'uovo, simbolo della vita nascente. La pastiera moderna, quella più accreditata sembra ormai attribuita alle suore del convento di San Gregorio Armeno a Napoli, che nel ‘700 la confezionavano per le tavole dei nobili e della ricca borghesia di allora, le quali monache amalgamando sapientemente quegli ingredienti, pensarono di creare un dolce simbolo della Resurrezione di Pasqua.

Gossip del tempo affermano anche che le quelle suore avevano una modalità di lavorare la pasta in modo alquanto strano e che oggi farebbe ridere: le suore che disponevano di natiche e fianchi più floridi, si sedevano sopra l’impasto, messo sui sedili di marmo del loro chiostro e, sussurrando devote preghiere si dimenavano ritmicamente. Suore "sister act", diremmo oggi, che comunque permettevano alla pasta di crescere rigogliosa. Si diceva che quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni dal convento fuoriusciva una scia di profumo che s’insinuava nei vicoli intorno e, spandendosi nei bassi, dava consolazione alla povera gente per la quale quell’aroma paradisiaco era la testimonianza della presenza del Signore.

Di certo, della pastiera, così come il casatiello, se ne parlava già nel ‘600. Infatti, Giambattista Basile li cita entrambi nella sua favola "La Gatta Cenerentola, quando descrive i festeggiamenti dati dal Re per trovare la fanciulla che aveva perso lo scarpino: "E venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzarra che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? ..."

Visto che della pastiera non è stata mai trovata la ricetta originale, oggi l’art caking si sta dedicando sempre più a creare nuove versioni. In Campania c’è chi ci aggiunge crema pasticciera, come in costiera sorrentina, chi riso come nel beneventano, chi invece i tagliolini come nel nolano. Oppure chi propone la pastiera al cioccolato, alle mandorle o alle  fragole, con gelato e con i biscotti che sostituiscono la pastafrolla, o in versione semifreddo, servita in monoporzioni tipiche della nouvelle cuisine. Ed anche il look della pastiera c’è chi lo sta cambiando: non più rotondo, ma nella "square version" della pasticceria Ranieri o addirittura nella enigmatica versione sferica dello chef Andrea Aprea. Purtroppo non esiste ancora un disciplinare della pastiera: oltre 10 anni fa, fu iniziata l'istruttoria ministeriale per il riconoscimento comunitario del marchio IGP, ma pare oggi si sia tutto arenato. Con l'attribuzione del marchio comunitario I.G.P., la vera Pastiera Napoletana potrebbe essere prodotta solamente in Campania e a Napoli, e con un vero disciplinare di produzione, a regolamentare materie prime, ingredienti aggiuntivi, processi produttivi, cottura e controlli sul prodotto finito e verifiche ambientali e strutturali. Ci auguriamo che si metta mano come per la pizza a tale carenza. Infine una curiosità finale, in un laboratorio di una prestigiosa pasticceria napoletana, dentro al "ruoto", prima di versarci il tutto e poi infornare, mettono una manciata di fagioli crudi spargendoli come se fosse una semina. Ciò servirebbe a non farla attaccare e ad attenuare l'umidità della cottura.