"Le tele di Penelope – Dietro le quinte in 4 atti” è il titolo della mostra dell'artista romano Danilo Maestosi che sarà inaugurata sabato 11 marzo alle ore 17 presso gli spazi della Fondazione Ebris di Salerno (via Salvatore De Renzi, 50).
Scandita in quattro capitoli (La Notte; Alla Luce; Torna la Notte. Armata; Com'è profondo il mare) la narrazione di Maestosi attualizza l'arcaicità del mito fino a renderlo potentemente contemporaneo attraverso dei temi simbolo: il tempo (simboleggiato dall'ordito della tela e dall'ossessione che si rincorre tra le tele), le donne (quelle del passato che sembrano dialogare con quelle del presente a pochi giorni da una data simbolica come l'8 marzo), la guerra (intesa come conflitto geopolitico ma anche come ferita non rimarginabile dell'umanità).
LA MOSTRA. “Come tutte le mostre, anche questa è un viaggio nel tempo. Quello arcaico nel mito e quello misurato dalla clessidra del presente in cui i miei quadri hanno preso vita e immergono quelle opere nel tempo che accade – spiega l'artista - Tre anni, dalla fine del 2019 al 2022, caratterizzati da due eventi di straordinario impatto collettivo: la lunga stagione del Covid e l'invasione dell'Ucraina, si specchiano in mostra in due capitoli intitolati la Notte. Al secondo ho aggiunto l'aggettivo Armata, perché armato è il ritorno di Ulisse, sigillato dalla strage dei Proci e dall'impiccagione delle dodici ancelle, giustiziate per la loro presunta infedeltà. Ma il richiamo alla guerra riporta a galla una memoria più ampia, sintetizzata con la scritta La Guerra di Troia non finirà mai. Perché almeno da noi il ricordo tende ad appiattirsi sulla paura e sulla minaccia che ci sembra più vicina e più simile, è una finta memoria che partorisce finti propositi e finti coinvolgimenti. Invece per me la guerra in Ucraina non è che una delle tante guerre che ci colpiscono solo di striscio, che allontaniamo e teniamo a distanza. Per questo a evocare il buio delle guerra è un quadro, uno dei soli due che ho voluto titolare, che richiama l'abbandono dell'Afghanistan. Addio Kabul. In quel quadro ho riassunto un ventennio di conflitti che hanno destabilizzato gli schemi politici e culturali del nostro Occidente: un ordine il cui crollo parte da quello delle Torri gemelle e i cui effetti si irradiano in una miriade di guerre, molte ancora in atto; in Libia, in Iraq, in Siria, nello Yemen, in Palestina, in Iran. Insomma questo è l'avvio del Terzo Millennio”.
C'è anche un'altra tematica, altrettanto trasversale e capace di sfidare le lancette della storia, l'universo femminile. “Maestosi percepisce il mito di Penelope e lo unisce a quello di Arianna e di Medea, ma, di fatto, descrive l’avventura di un’altra donna coraggiosa di cui in quei luoghi si sente ancora l’anima vibrante ed innovativa: Trotula, la donna medico venuta dal mare, che in quei luoghi superava i tabù ed i pregiudizi di genere, curava le donne come lei ed insegnava agli uomini i saperi del ben vivere. Questa mostra celebra il dialogo tra l’umano e la natura che lo accoglie; il dialogo tra generi; il dialogo tra mito e realtà”, scrive il presidente della Fondazione Ebris Alessio Fasano nel catalogo che accompagna l'esposizione.
Il filo rosso che lega insieme i suoi lavori sembra essere il concetto di tempo, come sottolinea nel suo testo critico Nicola Fano: “La dannazione di Penelope è il tempo. Fare e disfare la tela, almeno all’inizio, è l’arma che sceglie per difendersi. Le opere di Danilo Maestosi esposte alla Fondazione Ebris di Salerno partono da qui, dalla gabbia del tempo; dalla lenta presa di coscienza, da parte di Penelope, della ineluttabilità di questa gabbia. E dal fatto che esiste sempre la possibilità – mai fino in fondo colta da Penelope – di un gesto rivoluzionario, uno strappo, una rivolta finale, per dare un senso alla vita. Come farà Medea, in fondo; ma questo lo vedremo meglio poi. Penelope no, lei sceglie il tempo come suo vero padrone: è la sua ossessione”.
Un viaggio tra l'età omerica e il nostro presente lacerato, “senza però lasciare spazio, se non per eccezione, alla cronaca – scrive Stefania Zuliani - Sono solo due le opere in mostra cui Maestosi ha voluto attribuire un titolo (Addio Kabul è uno di questi), preferendo lasciare libero da eccessivi riferimenti il suo racconto visivo. Scandito in quattro capitoli e caratterizzato dal ritmo pieno del quadrato, formato minimalista per eccellenza, una forma geometrica senza direzione ed emozione, il flusso della narrazione pittorica di Maestosi non cede alla tentazione, certamente seducente, della rappresentazione, si mantiene lontano da ogni figurazione senza per questo rinunciare alla costruzione di una sequenza riconoscibile e marcata”.
La mostra riesce a mettere in dialogo anche due realtà apparentemente lontane, il mondo della scienza e quello dell'arte, come ricorda il sindaco Vincenzo Napoli: “Siamo nei luoghi della Scuola Medica Salernitana dove oggi la Fondazione Ebris svolge una benemerita attività di ricerca e formazione tesa al benessere della persona. Siamo lieti che la scienza affianchi l’arte in un rinnovato umanesimo contemporaneo”.
E proprio il legame con il contemporaneo sarà al centro della performance che vedrà protagonista, nel corso del vernissage (l'appuntamento è per le ore 18) l'attrice e regista Brunella Caputo, con una performance che integra il racconto di Maestosi Penelope alla finestra con brani de Il canto di Penelope di Margaret Atwood: una inedita esplorazione della natura del mito. Sezione musicale a cura di Davide Curzio.
L'esposizione sarà visitabile fino al 31 marzo dal lunedì al venerdi dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 17. La regia è di Erminia e Corradino Pellecchia, il coordinamento di Giovanni Gagliardi, la grafica di Luna Maestosi.
L'ARTISTA. Danilo Maestosi, 1944, romano, giornalista, ha lavorato per varie testate: Tempo, Paese Sera, Rai, Ansa, Messaggero. Ha diretto la rivista “Cinema del silenzio” e scrive come cronista e critico d’arte per i quotidiani on line “Succede Oggi” e “Striscia Rossa”. Ha cominciato ad esporre dal 1998, a Ravello, Palazzo della Marra, con la mostra “Come ombre sui Muri”. Ha alle spalle oltre quaranta personali in varie città italiane e un centinaio di partecipazioni a collettive. Lavora e sviluppa la sua ricerca per cicli. Il primo, “Lunario”, è stato esposto nel 2004 al Museo del Vittoriano di Roma e poi a Napoli, Salerno e Potenza. Il secondo, “Le Mille e una seta”, nel 2006, sempre al Vittoriano e poi è stato portato a Berlino. Il terzo, “Parabole”, con Alexander Jakhnagiev, è stato presentato nel 2007 al Macro di Roma e poi nella Galleria “Studio S” di Carmine Siniscalco, che lo ha portato al Cairo e in altre città egiziane e riproposto nel 2010 in una nuova versione a Tel Aviv. Il quarto, dedicato alla Musica, è iniziato nel 2007 a Viterbo (Palazzo Comunale), poi ripreso a Salerno (Palazzo Genovese), a Lodi (Convivio artistico), Ravello (Palazzo Sasso) e, infine, è approdato nel 2010 al Museo del Vittoriano. Il quinto, “Migrazioni” ha preso avvio nel 2010 alla Galleria “Ca d’Oro” di Roma. Il sesto, “Era glaciale/Innesti” è stato presentato alle Carceri papaline di Montefiascone nel 2011 e poi ripreso nel 2013 alla Villa comunale di Frosinone e alla Pinacoteca Provinciale di Salerno. Nel 2009 e nel 2013 è stato invitato al premio Sulmona; dal 2008 al 2013 al Festival di Giffoni. Nel 2009 è stato invitato a Bari al concorso “Dipingi i Silos”. Nello stesso anno è tra i vincitori del concorso “Un mosaico per Tornareccio”. Nel 2010, con altri pittori dell’Associazione “In tempo”, ha partecipato ad un libro e una mostra intitolati “Noi credevamo”. Nel 2010 ha preso parte, con altri cento pittori, ad una mostra ad Hang Zhou in Cina. Nel 2016 ha presentato la mostra “Atlante inquieto” al Centro Plus Arte Puls di Roma. Nel 2016 ha presentato il ciclo “Le terre dei ricordi” alla Galleria “I Preferiti” di Roma, riproposta nel 2017 al Centro Culturale “Ailikit” di Minori. Dalla fine del 2019, nel clima di restrizioni della lotta al Covid, lavora ad un ciclo dedicato a “Penelope e alle sue Tele, fatte e disfatte”. Da un decennio partecipa alle attività dell’Associazione “In Tempo”, fondata da Ennio Calabria, con la quale ha collaborato alla stesura di due manifesti sulla pittura e a una serie di mostre collettive a Roma, Milano e Varsavia. Hanno scritto tra gli altri di lui: Gino Agnese, Massimo Bignardi, Renato Civello, Ennio Calabria, Danilo Eccher, Nicola Fano, Patrizia Fiorillo, Roberto Gramiccia, Bruno Mansi, Ida Mitrano, Marcello Napoli, Erminia Pellecchia, Vittorio Sgarbi, Gabriele Simongini, Claudio Strinati, Carmine Siniscalco, Marco Tonelli, Stefania Zuliani.