Ascanio Celestini porta in scena, da giovedì 14 novembre 2024 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 17) al Teatro Nuovo di Napoli, Rumba. L’asino e il bue del presepe di San Francesco nel parcheggio del supermercato, presentato da Fabbrica, Fondazione Musica Per Roma e Teatro Carcano.
In scena, assieme al musicista Gianluca Casadei, Celestini immagina la vita di Francesco oggi: come il santo vivrebbe la povertà nell’Italia contemporanea e quale compagno di strada sceglierebbe, per non essere semplicemente povero, ma servo dei poveri.
Un uomo contro corrente che, pur essendo ricco, scelse non solo di essere povero, ma di farsi servo dei poveri. Un cavaliere che non volle più fare la guerra e che, da frate, in tempo di crociate, si recò in Terra Santa predicando la pace e la fratellanza.
A lui si deve l’invenzione del Presepe, che il santo allestì per la prima volta a Greccio. Nella notte di Natale del 1223 Francesco ha fatto in quel piccolo paese il suo primo presepe: un bue, un asino e una mangiatoia, niente altro. Serviva mostrare che Gesù era nato povero, in un paese povero, un posto di poveri.
Rumba è la terza parte della trilogia composta anche da Laika e Pueblo. I due personaggi sono gli stessi in tutti e tre gli spettacoli, vivono in un condominio di qualche periferia e si raccontano quello che gli succede. Nella povera gente del loro quartiere riconoscono facce e destini analoghi a quelli degli ultimi che Francesco ha incontrato otto secoli fa.
Giobbe, magazziniere analfabeta che ha organizzato il magazzino senza nemmeno una parola scritta. Joseph, che è partito dal suo paese in Africa, ha attraversato il deserto, è stato schiavo in Libia e poi naufrago nel mare. Forse si è salvato, ma in Italia è finito in carcere. Appena uscito è stato un facchino, ma adesso è un barbone.
Lo zingaro, che ha cominciato a fumare a otto anni e sta ancora lì che fuma, accanto alla fontanella, davanti al bar.
Ma perché Francesco ci affascina ancora dopo otto secoli? E dove lo troveremmo oggi? Tra i barboni che chiedono l’elemosina nel parcheggio di un supermercato? Tra i facchini africani che spostano pacchi in qualche grande magazzino della logistica?.
Ponendosi queste domande, nei panni del personaggio-narratore, Ascanio Celestini racconta il Francesco di oggi, che trova i propri personaggi in strada, tra le case popolari, tra coloro che, oggi come ieri, nessuno vede. Guarda in basso, nel parcheggio davanti alla finestra della sua casa popolare. I personaggi sono tanti e condividono lo stesso asfalto, la stessa condizione umana.
Sarà il Teatro Elicantropo a ospitare il debutto a Napoli, giovedì 14 novembre 2024 alle ore 20.30 (repliche fino a domenica 17), dello spettacolo Netamiau perché sei morta - Ingiunzione a una bambina nell’interpretazione e co-direzione di Marco Gobetti, autore del testo, in scena insieme a Chiara Galliano (voce e violoncello).
Presentato dalla compagnia torinese Lo stagno di Goethe – ets con il supporto dell’Unione Culturale Franco Antonicelli, nel testo un uomo che parla a una bambina, promettendole prodigi meravigliosi, ma lei non può rispondere e i prodigi si riveleranno terribili.
Una fiaba cruda che si fa satira feroce e spinge a riflettere su situazioni attuali: la strategia della menzogna imperante, i genocidi subiti usati come carta di credito per commetterne altri, l’industria della violenza e le guerre sistematiche che riducono interi popoli a carne da macello, mero fattore di un calcolo economico e geostrategico.
Netamiau perché sei morta - Ingiunzione a una bambina vuole essere un gesto politico, che usa la poesia per sollecitare un “pensare largo”, motore imprescindibile di azioni consapevoli e di un vigoroso moto vitale.
«Occorre riflettere lucidamente sul passato e sul presente - sottolinea Marco Gobetti - per provare a costruire un futuro migliore per tutte/i. La terra è rotonda e tutto torna a tutti. E prima o poi a tutti tocca la sorte, la buona e la brutta».
L’allegoria di Netamiau perché sei morta - Ingiunzione a una bambina evoca il genocidio ora palese nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, ma lo lega a doppia mandata al genocidio progressivo (apartheid, distruzione dell'economia e dei servizi, razionamento di cibo, acqua ed energia, incarcerazioni arbitrarie e illegali, deportazioni, "piombi fusi", "margini protettivi" e altri massacri massivi di civili) perpetrato da Israele in Palestina già nei settant’anni precedenti il 7 ottobre 2023, e a ogni altro genocidio, commesso o scongiurabile in futuro, nella storia umana.
La messa in scena ha attraversato e praticato disordini intelligenti, alla ricerca di un teatro che nasca dagli incontri, anziché pretendersi compiuto per affrontare incontri. In questo senso il meccanismo di produzione si è trasformato in meccanismo esso stesso spettacolare. Come nelle altre realizzazioni della compagnia Lo stagno di Goethe, anche in questo allestimento si preferisce alla regia la “direzione”, una direzione intransitiva: dirigersi, non dirigere.
La compagnia, tramite il programma di sala, accompagna ogni replica con l’invito a sostenere Gazzella onlus, un’associazione che si occupa di assistenza, cura e riabilitazione dei bambini palestinesi feriti da armi da guerra, e distribuisce pasti caldi alla popolazione di Gaza sopravvissuta al genocidio in atto