Il Tribunale dell'Aquila assolve il ministro Gaetano Manfredi - la  Repubblica

Gaetano Manfredi, l'ex ministro dell'Università e della ricerca del Conte II, aveva cominciato con un "No", scritto in una lunga lettera indirizzata a Letta e a Conte in particolare,  il 18 maggio scorso. "No grazie, a Napoli ci sono quasi 5 miliardi di passività, senza aiuto dal governo non si può gestire".

Un fotogramma che sembra di un'era fa, visto dalla sala gremita del Terminus, hotel affacciato sulla stazione centrale di Napoli, porta principale della città. E' lo sfondo che sta per fare – se le indicazioni di voto saranno confermate - da ala trionfante allo stesso ingresso del professore nella capitale del Sud: lui che, da accademico e due volte rettore, da sano provinciale ha sempre scelto di proteggere il privato e restare nella sua Nola, entra da quella "porta" stavolta da primo cittadino, da piazza Garibaldi. E' il sindaco del dopo de Magistris, che riporta, dieci anni dopo, il centrosinistra allargato ai Cinque Stelle, sulla poltrona più alta di Palazzo San Giacomo.  Cinquantasette anni, la moglie medico, Concetta Del Piano detta Cettina, una figlia 22enne che studia Economia a Milano. La sua campagna elettorale comincia così in sordina. Strombazzato quel "neo" che la città non vorrebbe vedere e su cui ovviamente si gioca nei pezzi di colore: è juventino. Lui non nega, non rinnega la passione, ma si fa fotografare nei primi giorni con maglie e colori azzurri. Poi sceglie di parlare di programma e fatti: periferie, giovani, Napoli da rimettere in asse col governo e con le relazioni europee. E la potenza di tredici liste, un esercito di candidati e sponsor anche con storie discutibili o netta provenienza di destra, ha fatto il resto.  Ma è abituato alle salite, alle camminate in solitaria nel suo Cilento. Manfredi viene invece da Nola, terra del filosofo Giordano Bruno. Lui e anche suo fratello Massimiliano (che è stato deputato dal 2013 al '18, e oggi è consigliere regionale) apprendono la passione della politica dal papà, allievo della scuola socialista lombardiana. Anche il genitore, Gianfranco, è ingegnere come Gaetano. Ma il promogenito, dopo la laurea con 110 e lode in Ingegneria civile, sceglie di dedicarsi all'università: senza tuttavia cancellare curiosità e attenzione per l'impegno civile e le relazioni istituzionali. Già amico di Giorgio Napolitano, che ne ha sempre apprezzato le doti di pacato osservatore oltre che di accademico brillante, Manfredi ha partecipato con sobrietà alla vita pubblica. Aveva svolto un ruolo di consigliere al fianco dell'allora ministro per le Riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione Luigi Nicolais, nel governo Prodi. Un legame che non si è mai interrotto con l'amico Gino, così come con Edoardo Cosenza, già preside del Politecnico napoletano e altro stimatissimo collega, rapporto coltivato nel tempo anche con lui, anche quando Cosenza aveva intanto accettato, nel 2010, il ruolo di assessore tecnico nella giunta regionale di centrodestra, nella Campania a guida Stefano Caldoro. Nel 2014, per Manfredi, scatta poi l'elezione al vertice dell'università più antica d'Europa, la Federico II di Napoli. Da lì, scatta il salto come presidente della Crui, la Conferenza dei rettori, ed è riconfermato nei due incarichi quattro anni più tardi. Ed è in questo ruolo che mette a segno, con una squadra composita e il sostegno degli enti locali, l'insediamento dell'Apple Academy in un rione un tempo degradato della periferia  operaia e abbandonata, a Napoli est,  San Giovanni a Teduccio. Manfredi vi è tornato di recente, a San Giovanni, parlando ai giovanissimi in veste di candidato sindaco e chi gli era vicino lo ha visto emozionarsi. "Ho incontrato alcuni ragazzi che si stanno occupando di video, cortometraggi e varie attività legate alle tecnologia. Mi hanno confidato che alcuni anni fa erano stati in visita alla Apple e si erano entusiasmati: non pensavano che nel loro quartiere esistesse qualcosa di così bello e nuovo - aveva confidato il candidato, sulla strada di casa  - a volte dimentichiamo che c'è chi nasce senza avere mai accesso alle opportunità cui tutti devono avere diritto".  Ma è nel 2019 che Giuseppe Conte lo chiama a Palazzo Chigi. "Molte volte mi avevano chiesto un impegno diretto, Comune, Regione, ho sempre detto no", confidò a "Repubblica" subito dopo il suo ingresso nel governo a guida giallorossa. Preferiva un ruolo più tecnico, legato alle proprie competenze: per questo si era rifiutato di scendere in campo per Palazzo Santa Lucia o San Giacomo. L'ex premier e oggi leader del Movimento Cinque Stelle lo aveva chiamato nelle vacanze di Natale del 2019, gli chiese se avrebbe accettato di prendere in mano il lavoro del dimissionario Lorenzo Fioramonti.  Manfredi, lusingato ma sempre "ingegnere", come scherzano gli amici, si prese alcune ore. Poi disse sì. "Lo faccio perché sento che è mio dovere dare un contributo per evitare che i giovani più brillanti siano costretti ad emigrare. E' una emorragia che non possiamo più permetterci", aveva spiegato in più occasioni. Concretezza, toni bassi, massimo fair play con gli avversari. Unica "condanna" unanime: per aver rifiutato tutti gli incontri e i faccia a faccia con gli sfidanti. Ma, con la tenacia tipica dei calmi, non ha cambiato idea neanche di fronte alle critiche più argomentate e severe. "Ho fatto tantissimi chilometri, ho voluto parlare a tutti i cittadini, di ogni ceto, storia, quartiere. Mi interessa che si conoscano le mie idee, le mie proposte. Non se alzo di più la voce o se buco lo schermo: lascio questi esercizi ad altri". Un profilo politico perfettamente agli antipodi, in questo senso, rispetto al "suo" governatore sponsor, l'ingombrante Vincenzo De Luca, che una settimana fa, un po' a sorpresa, si è  fatto trovare in strada con il "futuro" assessore comunale alla Sicurezza, l'ex vicecapo della polizia italiana ed ex questore di Napoli (oggi in pensione) Antonio de Jesu. Manfredi assicura che aveva già scelto lui il prefetto, De Luca lo lancia e lo benedice in pubblica piazza. La giusta collaborazione e insieme l'autonomia dal vicerè salernitano sarà solo una sfida - tra le mille - che gli toccano. Tocca a lui, dunque, juventino da sempre, gridare, al di là del calcio, un "forza Napoli, che coinvolga veramente tutti e ci porti finalmente fuori dall'ormai storico pantano.