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In Italia mancano i podologi nelle strutture sanitarie pubbliche e non si fa prevenzione sulle patologie del piede, che ormai riguardano un italiano su due. Nel 90% dei casi chi ne è affetto deve rivolgersi al privato, ma solo una piccola parte di persone può permetterselo: la maggioranza rinuncia a curarsi. Pochi i casi virtuosi, tra cui la Toscana.

Le patologie del piede come le artriti remautoidi, le ulcere, le neuropatia, le vasculopatie, o le deformità acquisite, sono in forte aumento. Quando le persone si rivolgono al medico o a una struttura pubblica è spesso troppo tardi e bisogna ricorrere all’intervento chirurgico o, addirittura, all’amputazione o micro amputazioni, che sono diventata oltre 700mila l’anno.

L’allarme viene da Napoli, dove si è tenuto il congresso internazionale di podologia e podiatria sul tema “Piede complicato da patologie croniche”, a cui hanno partecipato specialisti provenienti da tutto il mondo.

“Il vero problema è che la prevenzione non ha DRG remunerativi - dichiara il podologo Gaetano - Di conseguenza tutto ciò che riguarda la prevenzione (che dovrebbe essere fatta a tappeto) è lasciata al caso o alla sensibilità del medico di famiglia che orienta il paziente al podologo, che purtroppo nel nostro Paese non è presente nella stragrande maggioranza della pianta organica nelle strutture pubbliche. Qualunque sia la patologia cronica (di natura reumatologica o dismetabolica), si registra un’evoluzione della biomeccanica del passo. Se si hanno già problemi di appoggio questi aumenteranno nella direzione di una pronazione anomala. Il paziente con o senza patologie, negli anni e con la vecchiaia, e più rapidamente se con patologie croniche, tende ad avere un piede funzionalmente piatto. Ciò favorisce deformità ed ipercheratosi plantari con dolore e/o maggiore rischio di ferirsi in lesioni che con le complicanze croniche (nerupatia e/o vasculopatia) tendono a diventare ulcere”.

Il congresso è stato organizzato dal podologo Gaetano Di Stasio, coordinatore del comitato scientifico, in collaborazione con il chirurgo vascolare Lanfranco Scaramuzzino, con i patrocini dell’Associazione europea dei podologi, la Società Italiana di Flebologia, l’Associazione Italiana Ulcere Cutanee, il Coordinamento nazionale associazioni professionali sanitarie e il Consejo General de Colegios Oficiales de Podólogos.

Tra le patologie del piede sono in aumento le lesioni ulcerative - non solo nei pazienti diabetici e geriatrici - che interessano oltre 5 milioni di persone, secondo gli ultimi dati della Società italiana di diabetologia. Ogni lesione cutanea acuta può diventare cronica e quindi ulcera se le cause che l’hanno generata non sono rimosse o quando, pur avendo rimosso le cause eziopatogenetiche, i processi riparativi sono ostacolati da fattori intrinseci o estrinseci.

“La degenerazione delle lesioni e di altre patologie si può evitare - aggiunge Lanfranco Scaramuzzino - ma bisogna puntare sulla prevenzione, che costa anche meno della terapia. Dal congresso è partito un messaggio forte al Ministro della sanità perché si attivino i PDTA (Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali) e le campagne di comunicazione annuali per sensibilizzare i pazienti a curarsi e ad individuare i primi sintomi. I PDTA, se adeguatamente realizzati ed applicati, consentirebbero la riduzione degli eventi negativi (aggravamento, ritardata guarigione, effetti collaterali, complicanze), che oggi sono in crescita esponenziale”.

Il congresso ha affrontato anche il tema, di grande attualità, delle terapie rigenerative delle lesioni ulcerative e dell’automedicazione. “Le terapie rigenerative che abbiamo a disposizione sono tante e vanno utilizzate correttamente come gli innesti cutanei, il Prp e i polinucleotidi -  conclude il chirurgo Luca Scaramuzzino - Va scelto adeguatamente l'iter terapeutico del paziente. Ma soprattutto bisogna dare la possibilità al paziente di automedicarsi e curarsi in autonomia. Per cui all'interno del nostro processo terapeutico sicuramente integriamo le terapie chirurgiche con quelle che possono essere effettuate dal paziente proprio perché essendo delle terapie a lungo termine è necessario che sia in grado di autogestirsi”.