Il rapporto delle Nazioni Unite sullo stato del clima rappresenta un pesante monito per il futuro dell’umanità, futuro che potrebbe essere costellato di disastri naturali apocalittici.
Ma questo destino non è scolpito nella pietra: saranno le tendenze economiche globali, il progresso tecnologico, gli sviluppi geopolitici e, cosa più importante, l’efficacia delle misure mirate a ridurre le emissioni di carbonio a far sì che alla fine del XXI secolo il mondo possa risultare completamente diverso. Oppure no.
Quest’anno la COP26 verrà ospitata dal Regno Unito, in particolare presso lo Scottish Events Campus (SEC) di Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre.
La conferenza vede una partnership con l’Italia, dove diversi eventi, come il Youth4Climate e la PreCOP26, si sono tenuti all’inizio di ottobre.
La gamma dei possibili futuri che ci aspettano è alla base delle stime del Sesto Rapporto di Valutazione del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC), di cui è stata pubblicata la prima parte sulla scienza fisica del cambiamento climatico. Il nuovo rapporto presenta cinque situazioni climatiche che differiscono in termini di livello di riscaldamento previsto e di capacità della società di adattarsi ai cambiamenti che verranno. Ognuna di queste situazioni presenta il suo rispettivo scenario di sviluppo socioeconomico, con un diverso andamento delle emissioni di carbonio, creando una serie di possibili finali della storia del cambiamento climatico del XXI secolo sullo stile della serie di libri Scegli la tua avventura.
In alcuni di questi finali l’umanità affronta la sfida climatica e contemporaneamente compie azioni tese a ridurre la povertà e a migliorare la qualità della vita per tutti. Il mondo è più caldo e il clima è più pericoloso, ma le peggiori ripercussioni climatiche sono scongiurate e le società riescono ad adattarsi.
In altri la cooperazione globale è ostacolata dal nazionalismo, dall’aumento della povertà e delle emissioni e le temperature aumentano a livelli inimmaginabili.
Nel rapporto IPCC pubblicato, i diversi livelli di emissioni dei vari scenari portano a diversi livelli di riscaldamento nei modelli climatici determinando una serie di impatti fisici sul pianeta. Le implicazioni delle diverse condizioni socioeconomiche saranno trattate più diffusamente nella seconda e terza parte del nuovo rapporto IPCC, la cui pubblicazione è prevista per il 2022, poiché questi capitoli si concentreranno sull’adattamento al clima e la mitigazione dello stesso, afferma la climatologa dell’Università dell’Arizona e coautrice del rapporto IPCC Jessica Tierney.
“L’adattamento dipende in larga misura dalla risposta a queste domande: ‘Il mondo è cooperativo? I Paesi benestanti aiutano quelli con meno possibilità?’”, afferma Tierney. “Anche la mitigazione si basa su questa variabile, che rappresenta i diversi atteggiamenti dell’umanità nei confronti del progresso tecnologico. Per questo sto aspettando con impazienza questi rapporti”.
Sulla base delle attuali tendenze nell’uso globale dell’energia e della recente politica sul clima, alcuni dei possibili futuri previsti dall’IPCC sembrano più plausibili di altri. Ma gli autori del rapporto hanno scelto di presentare un’ampia gamma di risultati possibili per aiutare i decisori politici e l’opinione pubblica a comprendere quale sia la portata delle nostre decisioni e la posta in gioco se non compiremo scelte responsabili.
Nel Quinto Rapporto di Valutazione dell’IPCC, pubblicato nel 2013 e 2014, gli esperti hanno utilizzato una serie di “Percorsi Rappresentativi di Concentrazione” o RCP (dall’inglese: Representative Concentration Pathways) per creare le previsioni sul nostro futuro climatico. Gli scenari RCP variano in base agli sforzi che l’umanità compierà per limitare il cambiamento climatico, e vanno dallo scenario RCP-2,6, caratterizzato da una forte mitigazione e basse emissioni, allo scenario RCP-8,5, con nessuna mitigazione e alte emissioni. Il numero attribuito a ciascuno scenario indica il “Forzante Radiativo”, ovvero la quantità di energia aggiunta al sistema Terra dalle emissioni antropiche entro il 2100, calcolato in watt per metro quadrato. Se la Terra riceve più energia attraverso il forzante radiativo, le temperature aumentano.
Gli scenari alla base del Sesto Rapporto di Valutazione contengono ulteriori elementi antropici che li rendono un po’ più complessi da decodificare. Proprio come gli RCP, ogni elemento include un percorso di emissioni rappresentato dal forzante radiativo raggiunto entro la fine di questo secolo, che in questo caso va dal caso migliore di 1,9 watt per metro quadrato al caso peggiore, stile film catastrofico di fantascienza, di 8,5 watt per metro quadrato.
Lo scenario da 1,9 watt, che vede il limite del riscaldamento globale a meno di 1,5 °C, è stato aggiunto all’ultimo rapporto IPCC come diretto risultato dell’adozione da parte delle nazioni dell’obiettivo di riscaldamento globale di 1,5 °C dell’Accordo di Parigi, secondo Zeke Hausfather, che dirige i programmi relativi a clima ed energia presso il The Breakthrough Institute, centro di ricerca ambientale specializzato sull’innovazione tecnologica. Come il suo predecessore, anche il Sesto Rapporto di Valutazione include gli scenari con forzante radiativo di 2,6 e 4,5 watt per metro quadrato, nonché uno scenario estremo di 7 watt per m2.
La novità più grande del nuovo rapporto è che questi percorsi di emissioni non sono a sé, ognuno è associato a un “percorso socioeconomico condiviso” (SSP, dall’inglese Shared Socioeconomic Pathway), ovvero uno scenario di sviluppo globale del XXI secolo che include previsioni di crescita economica e demografica, così come tendenze tecnologiche e geopolitiche: tutti fattori che possono incidere sia sulle emissioni che sulla nostra capacità di ridurle e di adattarci al cambiamento climatico che esse stesse producono. Ognuno degli scenari SSP può essere abbinato a più percorsi di emissioni e creare molteplici quadri possibili.
Nell’ultimo rapporto, l’IPCC si è concentrato su cinque scenari: due relativamente ottimistici (SSP1-1,9 e SSP1-2,6), uno intermedio (SSP2-4,5), uno che prospetta un futuro oscuro (SSP3-7,0), e uno bizzarro (SSP5-8,5).
Entrambi gli scenari ottimistici sono in linea con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di mantenere i limiti del riscaldamento globale sotto i 2 °C. In questi futuri possibili, le nazioni agiscono immediatamente e in modo efficace per ridurre l’uso dei combustibili fossili. Le emissioni globali si azzerano tra la metà e la fine del XXI secolo prima di raggiungere addirittura una soglia negativa, quando l’umanità inizia a catturare e stoccare enormi quantità di biossido di carbonio dall’aria, avvalendosi di una tecnologia che ancora deve essere comprovata su larga scala. Entro la fine del secolo, la temperatura della Terra aumenta di circa 1,4 °C nel primo scenario ottimistico e di 1,8 °C nel secondo, in cui la differenza è data dalla velocità della riduzione delle emissioni e dalla velocità con la quale viene implementata la tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio.
Sebbene questi livelli di riscaldamento aumentino la frequenza e l’intensità di eventi climatici estremi e si traducano in un innalzamento del livello del mare di oltre 60 centimetri, le conseguenze climatiche più gravi vengono evitate. Allo stesso tempo, in ognuno di questi scenari ottimistici la forte crescita economica insieme a importanti investimenti nell’istruzione e nella sanità aumentano gli standard qualitativi di vita a livello globale. Nel mondo si riscontra sia una maggiore ricchezza che una maggiore equità entro la fine del XXI secolo, e le società si adattano con più facilità al cambiamento climatico rispetto a scenari con una minore cooperazione globale e condivisione delle risorse.
Lo scenario intermedio è un po’ meno roseo. Qui, il livello delle emissioni di carbonio rimane alto fino alla metà del secolo, prima di iniziare a diminuire. Entro la fine del XXI, la temperatura globale aumenta di circa 2,7 °C. Hausfather afferma che questo scenario è “grosso modo in linea” con gli impegni climatici presi dalle nazioni per il 2030 nell’ambito dell’Accordo di Parigi, il che significa che questo è il futuro a cui stiamo andando incontro, se il mondo non adotterà misure più efficaci per la riduzione delle emissioni.
Questo è anche il futuro che rispecchia più fedelmente i modelli storici di sviluppo socioeconomico. Questo possibile quadro intermedio prevede una crescita economica globale disomogenea, con alcuni Paesi che vanno verso una maggiore ricchezza e uguaglianza sociale e altri che invece restano indietro. Il tasso di fertilità rimane elevato nei Paesi in via di sviluppo e la popolazione globale raggiunge un picco di circa 9,5 miliardi di persone verso la fine del secolo. In quel momento storico molte parti del mondo saranno ancora vulnerabili a gravi impatti climatici.
Nel quadro di futuro oscuro previsto dall’IPCC, la cooperazione globale collassa e nei Paesi si diffondono forme di nazionalismo. La crescita economica e il progresso sociale sono in stallo. Tra le molte nazioni povere del mondo i tassi di natalità rimangono elevati, causando un aumento della popolazione globale che dai quasi 8 miliardi attuali supera i 12 miliardi entro la fine del secolo. Anche le emissioni di carbonio continuano a crescere nel corso del secolo, provocando entro il 2100 un aumento delle temperature fino a 3,6 °C sopra i livelli pre-industriali. Siccità e inondazioni peggiorano notevolmente, durante i mesi estivi il ghiaccio marino artico scompare e le ondate di calore, che prima si verificavano ogni 50 anni, aumentano la loro frequenza di quasi 40 volte.
Infine c’è lo scenario bizzarro, quasi fantascientifico. In questo mondo l’umanità non solo non riesce a invertire la curva delle emissioni, ma raddoppia l’estrazione dei combustibili fossili e intensifica gli stili di vita ad alto consumo energetico. Mentre le nazioni scavano e bruciano sempre più carbone nel corso del secolo, la temperatura del mondo aumenta fino a livelli inimmaginabili di 4,4 °C, superando i record di milioni di anni.
Tuttavia in questo scenario, la forte spinta dello sviluppo economico e sociale globale fa sì che i benefici dei combustibili fossili vengano ripartiti, portando a società che Hausfather descrive come “molto ricche, molto eque e altamente tecnologiche” entro la fine del secolo. La Terra è pervasa da un caldo infernale, ma l’uomo potrebbe essere meglio attrezzato per adattarsi di quanto non lo sarebbe nel mondo povero e altamente iniquo afflitto dal nazionalismo.
Lo scenario futuro bizzarro potrebbe essere un interessante esperimento mentale, ma un mondo in cui l’uomo bruci in questo secolo più carbone di quanto ne esista nelle riserve conosciute sembra altamente improbabile, specialmente considerando la tendenza sia dei mercati che delle politiche del clima di promuovere una diminuzione dell’uso del carbone nei Paesi ricchi (il carbone rappresenta attualmente meno del 20% di tutte le risorse per la produzione di elettricità negli Stati Uniti, in calo da quasi il 50% nel 2007).
Pur riconoscendolo come altamente improbabile, l’IPCC ha scelto di inserire comunque questo scenario nel suo ultimo rapporto, in parte per una sorta di continuità con il precedente rapporto – lo scenario SSP5-8,5 è molto simile all’RCP8,5 del quinto rapporto – e in parte perché gli scienziati che studiano gli impatti del riscaldamento globale trovano spesso “utile creare scenari estremi”, afferma Hausfather.
È anche possibile che le interazioni nell’ambito del sistema climatico – come una grande ondata di CO2 e metano derivanti dallo scongelamento del permafrost – spingano i livelli del riscaldamento verso le previsioni peggiori, anche senza un revival dell’industria del carbone. La stessa cosa potrebbe accadere se il clima si rivelasse più sensibile alle emissioni di biossido di carbonio causate dall’uomo di quanto si aspettano gli scienziati.
“Dal punto di vista dell’IPCC, è necessario prendere in considerazione l’ipotesi peggiore”, afferma Tierney, “se vengono presentati soltanto gli scenari che si pensano essere i più probabili, non si ha la percezione della gamma completa dei possibili esiti”.
Anche lo scenario ottimistico che prevede il riscaldamento limitato a meno di 1,5 °C sembra essere relativamente improbabile, considerando l’attuale lento andamento delle azioni a favore del clima. Ma questo potrebbe cambiare.
Hausfather osserva che le nazioni responsabili di circa i due terzi delle emissioni globali si sono ora impegnate ad azzerare le proprie emissioni entro la metà del secolo. Se questi Paesi saranno in grado di mantenere le loro promesse e se altre nazioni in via di sviluppo seguiranno l’esempio – tutti grandi se, ovviamente - “questo favorirà notevolmente il contenimento dell’aumento delle temperature tra gli 1,5 e i 2 °C”.
“Siamo ancora in tempo per scegliere di intraprendere il percorso migliore”, afferma Hausfather.
National Geographic si impegna a incoraggiare azioni positive a livello individuale per aiutare a mitigare il cambiamento climatico. In previsione della COP26 scopri nuovi modi in cui tutti noi possiamo ridurre il nostro impatto sul pianeta.