enzook1ARRIVA IL PERIODO DEL SANGUINACCIO E DELLE CHIACCHERE TRADIZIONE CONTADINA E LETTERATURA
 
In una delle scene più divertenti di Benvenuti a Sud, Alberto-Claudio Bisio, scende a fare colazione dove lo accoglie la madre di Mattia-Alessandro Siani, Nunzia Schiano, la mitica signora Volpe , con un grembiule imbrattato di sangue ed un coltellaccio in mano. La scena si sposta poi sulla zuppiera dove la signora sta sbattendo una crema di cioccolata.
Quella crema era il sanguinaccio e fra pochi giorni precisamente il 17 gennaio, ha inizio a Napoli il periodo di Carnevale dal goloso binomio chiacchiere e sanguinaccio. La preparazione del dolce non era semplicissima: raccolto durante la macellazione, il sangue era continuamente mescolato per evitarne la coagulazione; veniva filtrato prima di essere unito alla crema di cacao cotta in pentoloni di rame su fuochi a legna, aggiungendoci, poi, caffè, cacao, cannella, chiodi di garofano, uva passa e altre spezie oltre ad una buona quantità di zucchero per addolcire il tutto.  Sebbene dal 1992, vi è il divieto di vendita in Italia del sangue di maiale per motivi igienici, ciò non ha impedito completamente il suo uso. In alcune zone di campagna, ancora oggi, viene utilizzato e, seppur non venduto “ufficialmente” in negozi alimentari, è ancora reperibile nei mercati di paese. Ma perché veniva utilizzato proprio il sangue di maiale? Due motivi: religioso e pagano. Quello religioso dovuto al fatto che il 17 gennaio è il giorno in cui si celebra Sant’Antonio Abate, il santo anacoreta, vissuto in Egitto tra il III e il IV secolo, invocato per la guarigione dell’herpes zoster, o “fuoco di Sant’Antonio”, che in origine si curava con il grasso di maiale (questo è il motivo per cui viene sempre raffigurato con le fiamme e con un maiale accanto). In questo giorno i contadini napoletani erano soliti recarsi nell’Abbazia del Santo, di fronte l’Albergo dei Poveri in piazza Carlo III a Napoli per far benedire i loro maiali con l’augurio di buona salute e prosperità. L’origine pagana è invece frutto dalla tradizione medievale contadina, dove l’uccisione dei maiali, era collocata tra gennaio e febbraio, mesi in cui i contadini si godevano i cibi frutto del loro lavoro: ed il maiale rappresentava uno di questi frutti con il ciclo di preparazione che iniziava con  l’ingrassamento, proseguiva con la brutale uccisione e infine terminava con il suo essiccamento. Un detto dice “del maiale non si butta via niente ”, e in effetti i napoletani hanno saputo sfruttare in cucina ogni parte di questo animale. Oltre carne, interiora e grasso, restava il sangue, a lungo anche utilizzato per scopi terapeutici: nei casi di carenza di ferro era dato alle donne durante il ciclo mestruale o a chi soffriva di anemia. Della antica tradizione del sanguinaccio molto si è scritto in letteratura, a partire dal marchese Giovanni Battista del Tufo , che gli dedica una Ottava descrivendolo come “un insaccato dolce nella cui preparazione entra anche il riso”;Vincenzo Corrado , autore nel 1765 del primo vero ricettario napoletano “Il cuoco galante”, in cui svelava che già nel ‘700 al sangue di maiale si aggiungevano cioccolata, cannella, arance candite, zucchero e panna di latte,e veniva poi insaccato e cotto in acqua con sale e alloro o sulla graticola. Nell’Ottocento anche Ippolito Cavalcanti, si sofferma sul dolce   (“mescola nu rotolo de sango de puorco, na libbra de cioccolata, miezo ruoloto de zuccaro fino, doje grane de cannella fina, no grano de garofano fino, meza libbra de cetronata, de cocuzzata e de mostacciolo pestato”). Infine Matilde Serao , che nel suo romanzo “Il Paese di cuccagna”, ci narra della dedizione quasi sacrale che il napoletano metteva nel preparare “la enorme quantità di sanguinaccio rustico e sanguinaccio dolce, sanguinaccio nel budello bigio e sanguinaccio nel piatto, tutto cosparso di pezzettini gialli di Pan di Spagna…” A Napoli il sanguinaccio, pur senza sangue di maiale, non vive da solo: non può esistere senza essere accompagnato dalle chiacchiere. Anche Napoli può fregiarsi di una sua leggenda sull’origine delle chiacchiere quella più nota, probabilmente più vera è legata alla regina Margherita di Savoia . Una Regina golosa che insieme al suo cuoco, Raffaele Esposito, era già nota anche per le origini della pizza Margherita. Bene, le chiacchiere sembrano essere proprio frutto dell’inventiva di Raffaele Esposito, alla richiesta di un dolce che potesse accompagnare le conversazioni della Regina ciarliera nei suoi salotti di corte. Da allora le chiacchiere mantengono la ricetta pur con modifiche. Ciò che è rimasta invariata, è la forma a striscioline leggermente arricciate sui bordi, con le bolle, segno che la sfoglia è stata tirata a dovere e la frittura è stata fatta a regola d’arte.
 

*docente di marketing turstico e local development