enzo buonaDOVE STA ZAZA': QUELLA MARCETTA NAPOLETANA ELOGIO DELLA PRESENZA/ASSENZA CHE PORTO' LA PACE TRA I POPOLI

Dove sta Zazà?è un punto fermo nella storia del costume italiano e napoletano. Scritta nel 1942 da Raffaele Cutolo, come canzone in cui il nome Zazà simulasse anche, come onomatopea, il suono di una banda musicale, fu portata al successo da Nino Taranto, ed anche da Gabriella Ferri la quale però ne intravide risvolti drammatici. Zazà è sempre stata più di una canzonetta.

La stessa scelta del tempo di marcia non era casuale: doveva portare allegria a un popolo in fuga dalla miseria, riproducendo, in un’epoca di marce solenni, il suono di una banda, senza evocare battaglie e tragedie, ma solo ottimismo e speranza, dopo la notte più nera. Se il brano cult fra i soldati era stata per anni la struggente teutonica Lilì Marlen, in poco tempo Dove sta Zazà? la soppiantò, diventando la canzone dell’unione dei popoli e cantata da tutti i soldati di stanza a Napoli, che a quel tempo era una sorta di retrovia di più fronti. Nel 1946, all’insediamento della Costituente, i Qualunquisti la intonarono, in risposta ai deputati comunisti, che cantavano l’Internazionale. Si racconta inoltre che nel 1947, quando Alcide De Gasperi andò a incontrare il presidente Usa Harry Truman, sceso all'aeroporto di Washington, la banda militare lo accolse intonando Dove sta Zazà. L'inno di Mameli ancora non era stato ufficializzato come inno nazionale, e forse con quel refrain, i nostri alleati americani identificavano l'idea di italianità.

Evita Peron la scelse come inno del suo partito in Argentina. Alle Olimpiadi di Mosca del 1980, disertate da molti paesi per motivi politici, nella cerimonia di apertura non furono eseguiti gli inni nazionali. Fu proprio Zazà ad accompagnare la sfilata degli atleti azzurri.

A Napoli il nome “Zazà” venne anche dato alle “signorine facili”, tanto che nel 1945 in via Montecalvario un napoletano reduce dalla prigionia in Germania, prestando fede a gossip sulla sua fidanzata, sparando alla ragazza, le gridò: sei una Zazà. Racconta lo scrittore Vittorio Paliotti che quando la ragazza, operata e salvata dai medici dei “Pellegrini”, riprese i sensi, mormorò: “Non sono una Zazà. Diteglielo al mio fidanzato, che non sono una Zazà”.

Dove sta Zazà? narra di un tale che va con la sua bella morosa Zazà alla festa di San Gennaro, dove il maestro della banda di Pignataro, paesino in provincia di Caserta, esegue il Parsifal wagneriano (qui chiamato «Parsifallo»). In quella confusione la sua bella gli sparisce tra la folla («Se fumarono a Zazà») e non riesce più a trovarla. La storia è raccontata in prima persona: l'io narrante, si chiama Isaia («come fa Zazà senza Isaia?»). Ma l’amore è ballerino, c'è la seconda strofa che lo certifica, nella quale lo stesso Isaia ci informa che l'anno appresso torna alla festa di San Gennaro senza aver ancora trovato la sua Zazà e, in quattro memorabili versi, ci dice con cinica rassegnazione «se non troverò / lei che è tanto bella / m'accontenterò / de trovà 'a sorella»

La canzone a leggerla bene, offre uno stimolo molto forte anche all'introspezione sul valore della discrezione nel mondo di oggi. Una delle definizioni migliori sull’arte della discrezione la dà Marcel Proust nei Guermantes: “Il privilegio di poter assistere alla propria assenza”» ovvero il piacere baudelairiano di perdersi tra la folla della metropoli; la gioia profonda e silenziosa di osservare, inosservati, come quando, in un paese straniero, assaporiamo la massima libertà di non essere riconosciuti, Si può leggeremo da un lato l'antica sapienza greca di Epicuro che affermava: «pratica l'exchóresis”. Di non seguire il gregge, la massa, ma di dedicarsi ai piaceri semplici e naturali con pochi amici scelti, rifiutando ostentazione e volgarità. Dall'altro la saggezza stoica di Epitteto che invitava a praticare l'apátheia, ovvero l'indifferenza verso tutto quello che non dipende da te, e in particolare verso i beni terreni per eccellenza: sesso, potere, denaro.

Ritornando alla canzone, allora chi era la desaparecida Zazà? Forse la stessa Napoli, sparita, forse ammazzata, sicuramente saccheggiata, derubata dell’anima. Quell’anima che Isaia continuerà a cercare disperatamente tra guerra e miserie, macerie materiali e morali. Secondo Roberto De Simone: “forse è ipotizzabile che Zazà siamo noi stessi morti durante un bombardamento senza accorgercene, come ricerca assillante dei nostri corpi senz’anima. Trovarsi o ritrovarsi, questo è il problema. A volte penso perfino che nelle clausole d’armistizio dell’8 settembre ci sia quella di archiviare il caso Zazà”.

Vale la pena allora leggere il saggio “L’arte di scomparire” (Il Saggiatore), del filosofo francese Pierre Zaoui, nel quale la discrezione è ritenuta la nuova faccia della modernità, in un mondo dove l’apparire predomina sull’essere, dove gli altri, sono coloro che sanciscono la nostra identità e il nostro successo ed il numero di ‘mi piace’, di followers, la cifra del proprio valore e del proprio grado di attrazione interpersonale. E’ il cosiddetto oversharing, o overposting, cioè la condivisione sul web di ogni minimo dettaglio della propria vita privata con una platea spesso sconosciuta, come bisogno impulsivo di attirare l’attenzione per sentirsi riconosciuti e apprezzati. D’altronde lo slogan di Youtube è “broadcast yourself”, Facebook stesso ci sprona a condividere nello status quello che facciamo, dove ci troviamo e quali sono i nostri sentimenti, e la stessa attività di blogging è un invito costante a raccontare di noi stessi a un pubblico virtuale. Al tempo del chiacchiericcio e del parlare male e a sproposito, Zaoui invita a stare zitti e a essere discreti, a prediligere l’identità alla visibilità, l’essere all’apparire, la sostanza all’accidente. Perché, alla fine, una domanda rimane: se passiamo tutta la giornata a compiere azioni con il solo fine di condividerle, quando viviamo la nostra vita, quella vera?

Enzo Longobardi

docente di marketing turistico e local development