enzo buonaEPIFANIA DELL'ANIMA MUSICALE NAPOLETANA: SAN PIETRO A MAJELLA. DA VISITARE

Roland Barthes diceva che: “Ci sono due tipi di musica: quella che si ascolta, quella che si suona”. La musica a Napoli si ascolta e si suona. Ma c’è un luogo, all'estremità del decumano maggiore, nell’ex convento dei Celestini annesso alla chiesa omonima, sorta sulle rovine di chiesette duecentesche, che più di tutti è emblematico, San Pietro a Majella.  I conservatori nacquero a Napoli senza che la musica facesse parte dell’iniziale progetto.

san pietro a maiellaPrima di allora, per quasi per un millennio, la musica era insegnata solo nelle Scholæ Cantorum, preposte alla formazione dei cori di giovani destinati ad accompagnare le funzioni religiose nella chiesa cattolica. I conservatori erano enti formativi che accoglievano tra mura sicure i ragazzi disagiati, drop out come si dice oggi, e davano loro un’istruzione per acquisizione un mestiere. Solo col tempo, tra i vari mestieri fece capolino anche la musica. Soprattutto nel seicento. L’attività musicale, che nel corso del XV secolo era limitata al supporto di pratiche devozionali e manifestazioni liturgiche, nel corso del Seicento diviene motore della vita delle istituzioni e cifra d’identificazione. Perché durante i due secoli spagnoli, la città era un fiorire continuo di cappelle, chiese, basiliche, lautamente finanziate dalle vicereali committenze, non c’era nobile senza una sua residenza storica, adeguata al lignaggio del casato che rappresentava. Per la buona riuscita di una festa o di una celebrazione liturgica, servivano cantanti e musicisti. Di qui la necessità di formare sempre nuove generazioni ed un metodo di studio adeguato per il mondo del lavoro. Nacque allora la Scuola Musicale Napoletana, dal famoso metodo di studio, definito il partimento, dall’elevata composizione tecnica e che attirarono allievi non solo napoletani ma da tutta Europa. I quattro conservatori (Poveri di Gesù Cristo, Sant'Onofrio a Capuana, Pietà dei Turchini e Santa Maria di Loreto) diventarono un punto di riferimento per gli studi musicali.

Nel 1537 fu fondato, il Santa Maria di Loreto, primo conservatorio italiano; nel 1589 l’istituto Poveri di Gesù Cristo. Poi, quello di Sant’Onofrio a Capuana, quello della Pietà dei Turchini ed infine il San Pietro a Maiella, che dal 1826 divenne Reale Conservatorio di Musica sotto la direzione di Giovanni Paisiello. Al conservatorio di San Pietro a Majella si diplomarono – o studiarono soltanto –  nome prestigiosi quali: Franceso Paolo Tosti e Luigi Denza. Il primo musicò A Marechiaro, forse la più bella canzone di Salvatore Di Giacomo, il secondo Funiculì Funiculà. E poi Rodolfo Falvo che scrisse Dicitancelle vuje, Guapparia e Uocchie c’arragginate, Ernesto De Curtische musicò Tu ca nun chiagne, Voce ‘e notte e Torna a Surriento ed Eduardo di Capua autore di ‘A serenata d’ ‘e rose, I’ te vurria vasà , Torna Maggio, Maria Marì e soprattutto ‘O sole mio! Diplomati illustri più recenti sono stati Renato Carosone, Roberto De Simone ed il maestro Riccardo Muti.

Oggi l’Istituto, riconosciuto dal Ministero dei Beni Culturali, è reso fruibile all’esterno, attraverso visite guidate. Si parte dal chiostro principale seicentesco, si continua al primo piano con la Biblioteca, poi il museo di strumenti musicali e la quadreria si ritorna al piano terra scendendo le scale di Sala Spontini, con l'elegante ringhiera liberty, nella grande Sala Scarlatti, distrutta dal terribile incendio nel 1973 e ricostruita nel 1996.Una biblioteca unica: circa 300.000 documenti, 28.000 dei quali manoscritti e di questi oltre 12.000 sono autografi delle più grandi personalità dei secoli XVIII e XIX. E' arricchita da numerosi fondi musicali come: musica strumentale, melodrammi, madrigali, opere teoriche; da una cospicua raccolta di lettere autografe (dal '600 ai giorni nostri) e da due preziosissime collezioni di libretti d'opera contenente pezzi unici stampati a Napoli

Si ammireranno nella quadreria un centinaio di ritratti dipinti di musicisti di varia epoca e nazionalità, nonché firme illustri come Vernet, Palizzi, Altamura, Morelli; busti ritratto di scultori come Tito Angelini, Jerace e altri; cimeli di una rara raccolta di strumenti musicali come le arpe Erard, i violini Gagliano, clavicembali, spinette, salteri o pianini, pianoforti storici, strumenti a fiato e plettri rilucenti di intarsi di madreperla fino all’unicum dell’arpetta costruita da Stradivari, o ancora il pregiato fortepiano, il cembalo di Caterina II di Russia, ed i pianoforti di Mercadante e di Thalberg.

Come disse Riccardo Muti: “un luogo sacro, che non appartiene solo a Napoli ma al mondo intero, all'umanità” che vale la pena conoscere e visitare al più presto.

 

*docente di marketing territoriale e local development