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di MIRELLA FALCO

La pandemia ha indubbiamente cambiato il nostro stile di vita; gli approcci alla medicina sono mutati a loro volta, ed in qualche modo ha cambiato anche chi si sta impegnando per sconfiggerla. Ecco la testimonianza di Ciriaco Mascia un giovane medico anestesista-rianimatore campano, che si è formato in Campania ma ha scelto di combattere in prima linea, il Covid-19, tra le corsie della terapia intensiva e sub-intensiva in un ospedale della Toscana.

1. Prima di tutto cosa vuol dire essere un medico che si è formato in una regione, la nostra Campania, per poi trasferirsi fuori città per questioni di lavoro?

Allora, essere campano e trasferirsi fuori per lavoro per me vuol dire fare il proprio lavoro e portarsi dietro tutti i lati negativi del caso, cioè, stare fuori, dover contare solo su sé stessi per qualunque cosa ti possa accadere; non avere gli affetti, gli amici e la famiglia vicina, che per noi del Sud è fondamentale; non è solo una mancanza fisica, ma soprattutto una mancanza psicologica, perché li senti lontani e per cui viene a mancare quella sicurezza e quel senso di calore che solo una famiglia può dare.  

2. Cosa è il covid-19 e cosa è stato per lei?

Il covid-19 è una patologia che colpisce le persone che sono state infettate da un virus molto contagioso; questa patologia si può manifestare con una grande variabilità di manifestazioni cliniche, da uno stato completamente asintomatico, passando per una sindrome simil-influenzale fino ai casi più severi con una polmonite estremante grave caratterizzata da elevata mortalità. Tale variabilità è dovuta soprattutto a fattori legati al paziente, in particolare l’età avanzata e le patologie pregresse quali cardiovascolari e respiratorie in primis, ed erano tutte responsabili delle forme più gravi. Da medico di terapia intensiva ho a che fare quotidianamente con patologie infettive anche molto gravi, ma per le quali c’è la possibilità di una cura. Nel caso del Covid-19, dover fronteggiar una patologia a te sconosciuta è stata una vera e propria sfida.

3. C’è chi vi ha definito eroi. Come è stato essere in prima fila in quei giorni, realmente?

In quei giorni è stato qualcosa di drammatico, vedevamo i reparti riempirsi giorno dopo giorno e la terapia intensiva era quasi al collasso e questo mi provocava grande sconforto ed una sensazione di impotenza. Inoltre, vedevamo persone entrare in pronto soccorso con le proprie gambe lamentando sintomi lievi, tant’è che gli chiedevo: «come si sente?» e mi rispondevano: «sto bene, sono solo un po' affaticato!». Gli stessi pazienti che ricoveravamo nei reparti a bassa intensità, li ritrovavamo dopo pochi giorni, con polmoniti gravissime, in terapia intensiva intubati e a rischiare la vita.

4. Qual è il percorso di ingresso di un paziente sospetto Covid-19?

Al paziente con sintomi sospetti Covid-19 viene fatto il tampone e considerato positivo fino al risultato del tampone nasofaringeo. Se effettivamente positivo, ci sono 3 possibili destinazioni:

- reparto di malattie infettive o di medicina per quei pazienti con sintomi lievi;

- terapia sub intensiva per quei pazienti che necessitavano supporto respiratorio non invasivo (come ossigeno terapia in maschera, CPAP, NIV);

- terapia intensiva per quei pazienti che necessitavano di intubazione.

5. Ha mai avuto paura e temuto per la sua vita o quella dei suoi cari?

Aver paura per la mia vita, devo dire di No; se ho avuto tanta paura di ammalarmi, Sì. Nonostante abbia ricevuto tutti i presidi di protezione: mascherine, caschi, tute protettive e calzari; anche se, eravamo devo dire, ben protetti. Ho temuto per la vita dei miei cari, nonostante vivessero in una regione in cui l’infezione era meno diffusa. Inoltre, vivendo fuori non posso dire che tra quei pazienti ci fossero, o potessi considerarli come miei cari, ma questo era valido fino a un certo punto. Poiché abbiamo avuto pazienti ricoverati anche per mesi coi quali chiacchieravi, ti confrontavi, condividevi paure e speranze fino a sviluppare un vero rapporto di amicizia.

6. Dove ha trovato la forza per andare avanti, nonostante i dati non confortanti, i continui contagi e decessi?

Anche se è nostro dovere curare le persone, devo ammettere che ad un certo punto subentrava lo sconforto perché il numero di pazienti aumentava e non mi sentivo in grado di fronteggiare quei numeri. Ma quando tutto sta crollando, devi darti coraggio e non ci vuole un grande sforzo, quando sai che sei responsabile di una vita e devi fare di tutto per non far morire quella vita, dopotutto, è il mio lavoro. Quando finalmente vedevi le persone che con le cure miglioravano, tutti i tuoi sforzi per farli stare meglio venivano ricompensati. Ecco, questo mi dava la forza. Questo mi dava l’energia a fare meglio e dare di più.

7. Come è la situazione al momento?

Non siamo ai livelli di marzo-aprile però da due settimane stiamo assistendo ad un aumento esponenziale sia degli infetti sia dei pazienti che necessitano cure intensive. I casi si sono moltiplicati e ripresentati i pazienti in terapia intensiva. La situazione al momento è molto grave, perché assistiamo all’aumentare dei casi in maniera importante, così, come era prevedibile. Ciò che si sta facendo, più che a limitare i contagi si pone la priorità ad aumentare la capacità ricettiva dei presidi ospedalieri. Ciò è preoccupante e non fa ben sperare, in quanto ci aspettano molti mesi di inverno e la patologia avrà modo di diffondersi molto di più rispetto alla prima ondata, quando si andava incontro alla primavera.

8. È vero, quanto si dice, che se non sei malato COVID, in qualche modo sei trascurato e per una visita c’è da aspettare molto? Anche lì è così?

Indubbiamente c’è stato uno slittamento di tutta l’attività non urgente, in particolare quella ambulatoriale; purtroppo è stato un provvedimento inevitabile e necessario per limitare i contagi. Un grosso lavoro è stato comunque stato svolto dai medici di medicina generale e di continuità assistenziale che sono stati in grado di tamponare criticità accorse nei pazienti cronici, evitando così, inutili e dannosi accessi in pronto soccorso e più in generale, negli ospedali. Diverso invece è il discorso che ha riguardato le urgenze e le patologie oncologiche sia mediche che chirurgiche, per le quali è stata garantita la tempestività delle cure.

9. Quali sono, secondo lei, le previsioni dei prossimi mesi, c’è da preoccuparsi?

Nei prossimi mesi vedremo un aumento sempre maggiore di contagio, di conseguenza prevedibilmente un aumento maggiore della richiesta di posti in ospedale fino al momento in cui ci ritroveremo nella situazione in cui le terapie intensive saranno sature, e prima che si arrivi a questo punto, bisognerà prendere dei provvedimenti restrittivi come lo è stato il lockdown.

10. Il virus al momento è più aggressivo?

Come altri virus ad esempio quello dell’influenza, il coronavirus sembra avere un comportamento stagionale e ciò è dovuto a cause sia ambientali come ad esempio la temperatura, l’umidità, la radiazione ultravioletta, sia a cause legate all’ospite come le difese immunitarie, la permanenza in luoghi chiusi piuttosto che all’aria aperta. In questo momento il virus è più aggressivo perché i fattori ambientali e quelli legati all’ospite favoriscono la diffusione dell’infezione e la virulenza.

11. A suo avviso le cure e tutto l’iter per il contenimento è stato giusto fin dall’inizio della pandemia?

Sicuramente col senno di poi, ovviamente, si poteva fare meglio. Abbiamo imparato a conoscere il nemico e a comprendere che oltre al sistema respiratorio il virus poteva colpire a livello sistemico e quindi di volta in volta andavamo a combattere le complicanze che virus apportava. Riguardo il contenimento dell’infezione siamo stati tra i paesi presi come esempio anche a livello internazionale, in particolare mi riferisco alle misure adottare durante il lockdown.

12. Tra quanto ci libereremo definitivamente del virus?

Non è facile rispondere a questa domanda. L'unica cura possibile è il vaccino, che normalmente ha bisogno di tempi molto lunghi per essere individuato, testato sulla popolazione e prodotto in gran quantità.

13. E se dovesse fare una previsione?

Non prima di sei – sette mesi.

14. C’è qualche episodio accaduto in questi mesi e che lo ha profondamente colpito? Le va di raccontarcelo?

Un giorno è arrivata in ospedale una donna anziana già con sintomi gravi ed è stata ricoverata subito in terapia intensiva; a distanza di pochi giorni abbiamo ricoverato anche il figlio, questo invece in un reparto di bassa intensità. Quest’ultimo ha iniziato a peggiorare giorno dopo giorno al punto di essere ricoverato nella stessa terapia intensiva, ignaro, perché incosciente che la madre si trovasse a pochi letti da lui. Dopo circa due settimane mentre la madre peggiorava il figlio iniziava a stare meglio, finché il giorno in cui la madre è morta il figlio ha ripreso del tutto conoscenza e sembrava davvero potercela fare. È stato davvero triste dover comunicare al figlio, che chiedeva delle condizioni della madre, che quest’ultima era morta solo poche ore prima, non potendo avare, così, neppure la possibilità di peterle dire addio. È stata una delle emozioni più forti e dolorose mai provate nella mia vita.

15. Ha tratto qualche insegnamento da tutto questo?

Se c’è un insegnamento da tutto questo è che quando sei in una situazione del genere bisogna andare tutti nella stessa direzione. Il corpo umano sembra una macchina quasi perfetta ma in realtà può divenire anche molto fragile; siamo abituati a pensare che a tutto ci sia un rimedio, una cura; e a sottovalutare il pericolo. Ed è proprio questo ciò che questa storia ci insegna: non diamo per scontata la salute, ma lottiamo per conquistarla.