“Come si fa a rimanere indifferenti, vedendo quella sofferenza dei cittadini fuori e dentro gli ospedali di Napoli in attesa di un posto letto, quando nell’ospedale di Pollena Trocchia ci sono reparti ristrutturati con posti letto attrezzatissimi, sale operatorie all’avanguardia e spazi enormi che potrebbero essere utilizzati per i malati che attendono un ricovero, mettendo fine alla vergogna dei cittadini lasciati a terra in attesa del loro turno.

Si continua a tenere chiuso l’ospedale di Pollena Trocchia, ma noi tutti, insieme, dobbiamo farlo riaprire e stavolta il primo passo lo facciamo noi, aspettandovi”: lo scrive Vincenzo Sannino, amministratore del gruppo Ospedale R. Apicella – Diritto di curarsi Art. 32 della Costituzione, in una lettera indirizzata alle autorità e alle istituzioni locali e nazionali. Più che una lettera, un vero e proprio grido d’allarme e di esasperazione che riguarda uno degli annosi problemi del territorio, che investe un bacino di utenza molto ampio, coinvolgendo la vita degli abitanti dei comuni della cintura vesuviana, da Sant’Anastasia a Volla, da Cercola a Massa di Somma, da San Sebastiano al Vesuvio a Somma Vesuviana.
Il documento firmato da Sannino, infatti, annuncia anche l’occupazione della direzione generale dell’ospedale: un’azione imminente, prevista per la mattinata di martedì 10 novembre. “Noi intanto andremo a occupare, poi si vedrà”, fa sapere Sannino. 

Già lo scorso aprile, al culmine della prima ondata della pandemia, l’attuale vice presidente del consiglio regionale della Campania, Valeria Ciarambino, insieme al deputato Gianfranco Di Sarno, si era recata sul luogo per denunciare la situazione dell’Apicella: “L’ospedale di Pollena Trocchia, con tre sale operatorie attrezzate, con reparti ristrutturati di recente e alcune straordinarie eccellenze sanitarie, è stato svuotato perché sarebbe dovuto diventare Covid hospital. Poi non lo è più diventato, ma le attività, tra cui alcune in ambito oncologico, non sono più riprese. Mica si vuole approfittare dell’emergenza per smantellarlo? Sarebbe scellerato!”, affermava circa sei mesi fa la Ciarambino.

Tuttavia, da allora nulla è cambiato. Eppure già nel gennaio del 2019, un anno prima dello scoppio dell’emergenza pandemica in Italia, il Presidente Nazionale del Saues (il sindacato Autonomo Urgenza Emergenza Sanitaria), Paolo Ficco, aveva inviato una nota al direttore generale dell’Asl Napoli 3 Sud e al presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, per sottolineare il fatto che la chiusura del Psaut dell’ospedale di Pollena Trocchia, fosse illegittima e andasse revocata, in quanto “non conforme all’Atto Aziendale e alle linee guida in materia ma viola gravemente le norme che regolano i rapporti sindacali in materia di consultazione”.

“Il governatore-commissario De Luca – disse all’epoca Ficco – che nei giorni scorsi ha annunciato migliaia di assunzioni nella sanità, non può non intervenire: non si sopprimono strutture sanitarie indispensabili congestionando quelle limitrofe, non si sopperisce alla carenza di personale in qualche reparto ospedaliero sguarnendo altre strutture indispensabili”. Da allora sono trascorsi quasi due anni.

La realizzazione del nuovo ospedale di Boscotrecase, di per sé una buona notizia per il territorio, ha comportato l’obbligo di trasferire i tanti bravi professionisti dell’ospedale di Pollena Trocchia (in particolare pneumologi, fondamentali in questa emergenza Covid) presso il nuovo nosocomio di via Lenza. Morale della favola: il presidio “Apicella” è stato svuotato delle sue risorse umane di eccellenza e al momento è ridotto all’essenziale, nonostante la grande disponibilità di spazi e opportunità di ricovero. Come se non bastasse, circa un mese fa il comitato per la salute pubblica della zona vesuviana lanciò un allarme relativo al presidio sanitario di Boscotrecase: “Nonostante i proclami è già in corso una dismissione di reparti che, passata l’emergenza Covid, coinvolgerà probabilmente anche mezzi e personale sanitario rilegando nuovamente il Sant’Anna ad essere una struttura ospedaliera poco affidabile”. Per questo motivo il comitato espresse preoccupazione e pretese che le direttive ministeriali (che spingono per strutture di prossimità) non venissero delegate alla sanità privata, auspicando, invece, che queste potessero “trovare concretezza anche nel potenziamento del nuovo ospedale”.

Le voci che arrivano dall’interno dell’ospedale di Pollena fanno sapere che al momento “si sta svolgendo tutta l’attività oncologica, che ha preso in carico anche quella dell’ospedale di Nola. Tutti gli ambulatori (surgery, oculistica, cardiologica) sono invece sospesi, perché si sta dando la priorità assoluta alle urgenze. I reparti sono vuoti perché mancano i medici e gli anestetisti”. Eppure parliamo di un ospedale nuovo, dove presumibilmente qualche attrezzatura è ancora imbustata, e quindi mai utilizzata: “Il problema è che non c’è nessuno, non ci sono infermieri, non ci sono O.S.A. (operatore socio-assistenziale)  e non ci sono medici. Non ci sono proprio, non esistono, non abbiamo nemmeno le graduatorie e quelli che c’erano oggi sono tutti negli ospedali Covid”.

Appena pochi anni fa, nonostante fosse dimenticato dalla politica che ne faceva oggetto della discussione soltanto in campagna elettorale, per alcuni cittadini l’ospedale di Pollena Trocchia rappresentava ancora un punto di riferimento e un vanto per la città. Fondato nel 1933 dal Cavaliere Raffaele Apicella, l’ospedale è il riflesso delle ombre generate dalla cattiva gestione della cosa pubblica. Un’offesa a chi soffre e alla sanità, amministrata in maniera maldestra dalle giunte regionali di ieri e di oggi. Dal 2008 la lenta e inesorabile agonia, con il ridimensionamento e la chiusura dei reparti principali (chirurgia, ginecologia, pediatria), anime dell’ospedale. Ad agosto del 2011 furono sospese anche le attività di Pronto Soccorso. Successivamente, a giugno 2012, fu la volta della chiusura dell’ambulatorio di ortopedia. Una morte annunciata, ma lenta, e questo nonostante il presidio ospedaliero serva un’area di 600mila cittadini.

Il problema, come sottolineava già nel lontano 2008 il dott. Egidio Perna, sembra essere la scarsa attrattività dell’Apicella nei confronti dei professionisti della medicina, molti dei quali, infatti, negli anni hanno preferito traslocare altrove in cerca di fama e di
notorietà professionale. Il Piano Ospedaliero Regionale dell’epoca aveva previsto l’accorpamento dell’ospedale Apicella con quello di Pomigliano d’Arco, mai costruito però.
“È possibile – si chiedeva in quegli anni Perna – che per la cura della salute di una popolazione di seicentomila abitanti siano disponibili soltanto due ospedali pubblici, come quelli di Nola e di Pollena Trocchia? E che ospedali poi?”.

L’emergenza è oggi, ma ci sono pochi dubbi che parta da molto lontano.

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