99 POSSE, CURRE CURRE GUAGLIÒ, DALLA RIVOLUZIONE UNDERGROUND AL PRECARIATO ODIERNO

enzo buonaChiunque dagli anni 70 in poi abbia preso parte a un’occupazione, a un corteo o a una qualsiasi azione di movimento non può non aver ascoltato quelle loro canzoni che parlavano di diritti e precariato. Quei ragazzi innamorati della musica e della politica militante erano Luca ‘o Zulù, Massimo Jrm, Marco Messina e Sacha Ricci. Temi e sonorità che hanno influenzato gruppi di ‘sinistra’ come Sangue Misto, gli Assalti Frontali, Frankie Hi-NRG, Caparezza, i Mau Mau, i Sud Sound System, gli Almamegretta ecc...

“Curre curre guagliò” del 1993, è ritenuta la più bella canzone indipendente degli ultimi 30 anni. Un brano che Gabriele Salvatores scelse come colonna sonora di “Sud” ed un testo addirittura inserito in una antologia della letteratura italiana per scuole superiori, "Le basi della letteratura", Mondadori Editore, nel 2013, selezionato come testo esemplare sul disagio e la ribellione giovanile.

La copertina di “Curre Curre Guagliò” come metafora della musica che fa da tramite della protesta giovanile: una processione dedicata a San Gennaro; i partecipanti che portano una macchina a spalla con sopra la statua del patrono di Napoli e procedono affiancati a dei carabinieri in divisa. Sullo sfondo saracinesche serrate coperte da uno striscione contrario agli sgomberi. La Napoli dei centri sociali che si affaccia sulla Napoli devota. Due mondi antitetici, dove anche San Gennaro guarda avanti, come se ignorasse le contestazioni impresse sugli striscioni.

In Curre curre guagliò ci sono gli anni ottanta, con la sconfitta del sogno rivoluzionario e la resistenza sotterranea; il punk, gli squat di Londra, il vecchio Leoncavallo, il Tienament di Soccavo. Ci sono autonomi e anarchici, comunisti e operai, disoccupati, e il movimento per la casa, gli squatter, le posse, la Pantera e Officina 99, i No Global e la Terra dei Fuochi. C’è la Palestina, e il Chiapas. Ci sono Genova 2001 e Carlo Giuliani.

I 99 Posse nascono nel 1991 come espressione del centro sociale occupato ‘Officina 99’ di via Gianturco a Napoli, nella zona industriale (o post-industriale, o ex-industriale) a est della città, tra capannoni abbandonati e ciminiere fumanti. I fondatori di Officina, ex demoproletari, dissidenti Pci e reduci di estrema sinistra degli anni ’70, all’inizio degli anni ’90, erano parte del movimento universitario della “Pantera”, protagonisti delle occupazioni nelle facoltà. Sgomberati dalla “sala d’armi” di via Mezzocannone, puntarono sulla periferia. Da qui, l’occupazione prima dell’ex istituto scolastico “Stefano Falco”, in via Gianturco 99 e poi il trasloco al numero 101 della stessa strada - un’ex officina - fondando “Officina 99”, con il numero civico dello “Stefano Falco” come continuità con la vecchia occupazione.

Tutti gli attuali centri sociali napoletani sono stati occupati negli anni novanta, Officina 99 è oggi il più vecchio. Ci fu un piccolo lascito del movimento del ’77, come «Jessica» al Vomero, ma nessuno è sopravvissuto agli anni ottanta. La prima esperienza di lunga durata fu «Tien’ A’ Ment», centro «punk-libertario» a Soccavo sgomberato nel 1996. Dal censimento 2018 del Ministero dell’Interno, in Campania attualmente risultano attivi 15 centri sociali: 7 nell’area metropolitana di Napoli, 2 in provincia di Salerno, 5 nel Casertano, 1 nel Sannio, 0 in Irpinia. La politica li tiene d’occhio in maniera ferrea, o dal punto di vista repressivo o come bacino elettorale proprio. Secondo il Viminale a guida Salvini: “I movimenti antagonista ed anarchico estrinsecano la loro attività nei centri sociali autogestiti, diversificati fra loro in ragione dei diversi indirizzi politico-ideologici delle varie componenti organizzative accomunate dalla gestione di uno spazio pubblico quale luogo di aggregazione per attività d’area”. Il messaggio, neanche tanto velato, è: attenti a come vi muovete perché non tollereremo occupazioni abusive. Tutto il contrario della giunta De Magistris a Napoli, che ritiene i centri sociali occupati non meritevoli di repressione. Infatti nel 2016 la delibera 446 consegnò un sillogismo inedito alla storia politica di Napoli: centri sociali come beni comuni, da non sgomberare ma da valorizzare. Già nel 2015 la giunta aveva riconosciuto spazi del Complesso di San Gregorio Armeno (ex Asilo Filangieri) «nel novero delle strutture e degli spazi destinati alla fruizione civica e collettiva per il loro valore di bene comune». Immobili occupati che si ritenne lasciare agli occupanti perché secondo la delibera «capaci di generare capitale sociale, manifestatisi come fattori di aggregazione, capaci di promuovere comportamenti di cittadinanza attiva. generatori di sistemi di autogoverno ed autoregolazione ispirati alla libertà di accesso e di partecipazione e comunque al sistema di valori sanciti e tutelati dalla Costituzione della Repubblica italiana». Dopo Asilo Filangieri diventarono “bene comune” anche ex Opg Occupato, Lido Pola, Villa Medusa, ex scuola Schipa, Convento delle Cappuccinelle, ex Conservatorio Santa Maria della Fede.

Dei drammi sociali del precariato se ne parla ogni giorno. Una condizione di precariato lavorativo non rende instabile solo la situazione economica, ma mina anche lo stato psicologico delle persone. Perché non possono emanciparsi dalla famiglia di origine e costruire una propria realtà, ma si ritrovano a vivere forzatamente in una sorta di 'adolescenza sospesa' con conseguente frustrazione e perdita dell'identità sociale. La stragrande maggioranza di chi ha accettato un contratto a termine in Italia lo ha fatto perché non aveva alternativa. E le donne sono le più colpite. Più della metà delle giovani lavoratrici ha un contratto precario e il tasso di stabilizzazione è molto inferiore a quello dei giovani lavoratori. Oggi la gran parte dei contratti a termine si concentra in periodi brevi e spesso di basso profilo professionale. Il che significa che la maggioranza delle imprese (ad eccezione di quelle digitalizzate, che creano occupazione stabile crescente) preferisce non immobilizzare investimenti in capitale umano, se non nei profili indispensabili, in attesa di una ripresa economicache allo stato in Italia sembra non esserci.

*docente di marketing turistico e local development