Negli ultimi tempi la politica fiscale è diventata il fulcro attorno al quale gira l’economia degli stati e, questa è diventata imprescindibile termometro dello stato di salute delle varie economie nazionali e dei modelli economici e politici sovranazionali che si muovo nell’economia moderna.
L’importanza della politica fiscale è data dal fatto che con essa si orientano le strategie economiche di ciascuno stato e questo, in particolar modo nel momento storico in cui viviamo che è caratterizzato da una forma di depressione economica dilagante in cui sono praticamente crollati i rendimenti bancari e quelli di numerosi operatori di mercato a cui anche gli Stati facevano ricordo per rimpinguare le proprie casse. In partica si è ridotto il vortice del denaro, ma nello stesso tempo da parte degli stati stessi vi è la necessità di reperire nuove fonti di entrata capaci di soddisfare le richieste economiche che necessitano a ciascuno Stato per poter funzionare correttamente e senza andare in ulteriori sofferenze economiche, anche perché il ricorso al debito pubblico viene via via abbandonato dagli stessi governi per una serie di fattori che vanno dalle valutazioni degli altri stati a principi di autotutela per evitare il cosiddetto “default”, che può derivare proprio dalla mancanza di armonia tra politiche fiscali e investimenti dello stesso Stato sovrano.
Brevemente ricordiamo che il “default” è il fallimento dello Stato. Ilfallimento degli Stati è qualcosa di straordinarioe a differenza di quanto avviene per le imprese non coincide con la "bancarotta" o con una situazione in cui la mancanza di soldi non consente più all'azienda di poter continuare la propria attività. Quando si parla difallimento o, in gergo,default, si fa riferimento al fatto che uno Stato non è più in grado di pagare le cedole (o una loro parte) legate al debito che ha assunto. In pratica, non è più in grado di onorare il proprio debito. Non tutti i fallimenti sono uguali. Ci sono situazioni in cui lo Stato non riesce a pagare la maggior parte del debito come accaduto in Argentina o in Messico, o casi in cui non riesce a pagare del tutto alcune cedole comeaccaduto in Russia una decina di anni fa.
Le conseguenze di un fallimento sono di due tipi. La prima:il Paese fallito convoca chi ha in mano i suoi titoli di stato per negoziare un pianovolto a cercare di ripagare in modo efficace una parte o tutto il debito. Di solito propone di allungare la scadenza dei titoli. In questo modo chi li possiede non perde il denaro, ma lo vede impegnato per più lunga scadenza. In altri casi, invece, il Paese propone una riduzione del valore delle cedole.
La seconda: il fallimento ha di certo uneffetto shock che può portare a una depressione sui consumi e alla recessione.Ma può avere anche uneffetto positivoperché spinge il Governo a scelte coraggiose come la ristrutturazione del debito e la definizione di un piano di sviluppo. Le conseguenze sui cittadini non sono immediate, ma possono svilupparsi nel tempo a seconda dei tempi di reazione del Governo.
E se dallo shock un governo ha la capacità di definire un piano di sviluppo, lo Stato può uscire anche rafforzato. Nel lungo periodo.
Dunque la politica fiscale è una particolarepolitica economicail cui obiettivo principale è quello di influenzare il livello della domanda globale attraverso variazioni dellaspesa pubblicae della pressione fiscale.
La politica fiscale può essere siaespansiva cherestrittiva: nel primo caso mira, attraverso un aumento della spesa pubblica o una riduzione delle imposte, ad aumentare il livello della domanda globale e di conseguenza il reddito d'equilibrio; nel secondo caso, invece, si persegue un obiettivo opposto, attraverso una riduzione della spesa pubblica o un aumento delle imposte.
Gli strumenti utilizzati dalle autorità governative per attuare una manovra di politica fiscale possono essere, sommariamente, suddivisi inautomatici ediscrezionali. I primi, una volta introdotti, operano indipendentemente da qualunque decisione delle autorità di governo in quanto sono strumenti le cui variazioni sono determinate dal sistema economico. In particolare ricordiamo:
— tassazione diretta. Questa variabile, infatti, è determinata dal livello del reddito di equilibrio per cui tende ad aumentare quando vi è un maggiore reddito disponibile ed a diminuire nel caso contrario; essa tenderà, quindi, a frenare l'aumento della domanda aggregata nei periodi di espansione e ad incentivarla nei periodi di recessione. Nel primo caso, infatti, vi sarà una maggiore tassazione e, quindi, minor reddito disponibile per consumi, mentre nel secondo la pressione fiscale diminuirà ed i consumi potranno mantenersi ad un adeguato livello;
— trasferimenti. Alcuni trasferimenti dello Stato tendono a variare secondo l'andamento del sistema economico. È il tipico caso dei sussidi alla disoccupazione il cui ammontare si riduce durante i periodi di espansione (maggior numero di persone occupate) ed aumenta durante i periodi di recessione (maggiore disoccupazione): questo permette di stabilizzare il livello della domanda globale evitando brusche oscillazioni tra i vari periodi.
I tradizionali strumentidiscrezionali di politica fiscale, invece, sono:
— variazioni delle imposte. Una riduzione delle imposte fa aumentare il reddito disponibile e quindi il consumo aggregato; l'effetto prodotto da una variazione delle imposte dipenderà soprattutto, però, dalla propensione marginale al consumo. Se infatti le riduzioni interessano principalmente gli strati più poveri della popolazione, l'effetto sarà maggiore data la loro maggiore propensione marginale al consumo.
Una riduzione delle imposte sui redditi da capitale potrebbe anche stimolare gli investimenti; in questo caso, infatti, una riduzione del livello impositivo farà aumentare i profitti e renderà più redditizi gli investimenti. Effetti contrari si avranno, invece, nel caso di un aumento delle imposte;
— variazioni della spesa pubblica. Un aumento della spesa pubblica comporta un aumento del livello di equilibrio della domanda globale e, attraverso ilmoltiplicatore della spesa pubblica, un aumento del reddito disponibile.
Il vantaggio di una variazione della spesa pubblica, rispetto alle variazioni del livello impositivo, è dato dal fatto che mentre una riduzione del prelievo fiscale serve in parte ad accrescere il consumo ed in parte ad aumentare il risparmio, un aumento della spesa pubblica non subirà dispersioni in quanto sarà interamente consumata nell'acquisto di beni e servizi.
Ovviamente, una riduzione della spesa pubblica avrà effetti contrari sul livello della domanda globale.
Gli effetti di una politica fiscale espansiva o restrittiva possono essere illustrati utilizzando il modelloIS-LM.
Nellafiguraun aumento della spesa pubblica (o una riduzione delle imposte) provoca una traslazione della IS da IS0 a IS1; gli effetti di una politica fiscale espansiva saranno perciò un aumento del reddito di equilibrio (da Y0 a Y1) ed un tasso d'interesse più alto (da i0 a i1). Viceversa, una riduzione della spesa pubblica (o un aumento delle imposte) provocherà una diminuzione del reddito d'equilibrio (da Y0 a Y2) e un tasso d'interesse inferiore (da i0 a i2).
Tuttavia i benefici che una manovra economica di questo tipo può apportare al sistema economico, in termini di incremento del reddito di equilibrio, possono essere in parte ridimensionati dal cosidetto effetto spiazzamento detto anche Crowding-out. In pratica, se aumenta la spesa pubblica vi sarà un parallelo aumento del tasso d'interesse (come è dimostrato nella figura) in quanto lo Stato, per poter collocare i propri titoli del debito pubblico, al fine di finanziare la spesa pubblica Deficit spending, deve offrire un tasso d'interesse più alto di quello normalmente praticato; ma se quest'ultimo aumenta, gli investimenti privati subiscono una flessione in quanto molti imprenditori non avranno più interesse ad investire.
L'aumento del reddito generato da una spesa addizionale da parte dello Stato sarà, quindi, parzialmente neutralizzato da una riduzione degli investimenti privati; in altre parole si può affermare che la spesa pubblica sostituisce in parte la spesa privata per cui l'aumento effettivo del reddito sarà inferiore a quello ipotizzabile senza l'effetto spiazzamento.
Tra gli altri limiti che una politica fiscale può incontrare ricordiamo:
— scarsa flessibilità nelle variazioni della spesa pubblica. Lo strumento della spesa pubblica è, infatti, poco flessibile in quanto gran parte delle erogazioni statali sono legate a specifici programmi sociali che presentano un elevato grado di rigidità. Riduzioni della spesa pubblica destinata a fornire indispensabili strutture e servizi sociali (pubblica istruzione, sanità, pensioni ecc.) potrebbero avere delle ripercussioni difficilmente accettabili da parte di molti governi. Inoltre bisogna ricordare che molti progetti di investimento pubblici richiedono vari anni per essere portati a termine e non possono, quindi, essere sospesi o riattivati a seconda dell'andamento della congiuntura economica;
— incertezza sull'efficacia di una variazione della pressione fiscale. Mentre è dimostrato (anche da ricerche empiriche) che una riduzione delle imposte fa aumentare il consumo, altrettanto non può dirsi per la loro efficacia nello stimolare gli investimenti privati. In questo campo, infatti, giocano un ruolo fondamentale le aspettative degli imprenditori i quali, in mancanza di segnali di ripresa del sistema economico, potrebbero semplicemente tesoreggiare la maggiore quantità di moneta a disposizione e posticipare le decisioni di investimento.
Con politica fiscale si intende l’insieme di strumenti a disposizione dello Stato per far fronte alle proprie uscite, la spesa pubblica che serve a produrre beni ed erogare servizi destinati alla cittadinanza. La politica fiscale si concretizza nella ripartizione di tasse e tributi che gravano sui cittadini di un paese, e viene definita dalle leggi finanziarie.
Manovre espansive e manovre restrittive - Anche per la politica fiscale si può parlare di manovre espansive e di manovre restrittive. Una manovra espansiva consiste in una riduzione delle tasse, in modo da lasciare a cittadini, famiglie e imprese maggiori risorse per consumare ed investire. Al contrario, una manovra restrittiva, che consiste in un aumento delle tasse, ridurrebbe i redditi disponibili e così consumi e investimenti. Manovre espansive possono essere necessarie per aiutare l’economia ad uscire ad periodi di difficoltà. Manovre restrittive possono servire a raffreddare un’economia che sta correndo troppo e/o ad aggiustare il bilancio statale.
Distribuzione della pressione fiscale - Tra gli economisti vi sono diverse posizioni su come distribuire il carico fiscale sulle diverse fasce di reddito della popolazione. Le principali sono due. La prima sostiene che nella distribuzione del carico fiscale debbano venir privilegiate le fasce di reddito alte in modo da favorire le imprese e stimolare così gli investimenti e lo sviluppo economico. La seconda, invece, sostiene che vadano privilegiati i ceti medi e bassi, così da poter stimolare i consumi che, a loro volta, aumentando la domanda stimolerebbero per altra via la crescita economica.
In Italia, e in particolar modo da qualche decennio si passa da una pressione fiscale più forte, ma soprattutto ad una attenzione maggiore all’evasione, per cercare di incamerare nuovi fondi per pore rilanciare gli investimenti pubblici, anche se, negli anni si è notato che ogni qualvolta si tenta di accelerare sulla stada dell’incremento della pressione fiscale, vengono meno gli investimenti privati e si crea una depressione nel mondo produttivo che porta spesso a involuzione di carattere sociale e produttivo che sfociano nella morte delle aziende e nel crollo dei livelli occupazionali nel settore pubblico. Questo stato di cose, ovviamente richiede l’intervento dello Stato con i sostegni sociali del caso e questo, in pratica annulla gli effetti benefici dell’aumento della pressione fiscale e finisce per creare nuovo debito pubblico con allungamenti anche cospicui dei tempi di ripresa e finanche l’annullamento degli effetti positivi di particolari congetture internazionali, come la diminuzione del costo dell’energia, che serve a ben poco quando le aziende non esistono più e i propri dipendenti si sono trasformati in richiedenti sussidio o bisognosi di interventi pubblici.
Per questo motivo i governi cercano di trovare la quadra della propria politica fiscale, che dunque deve essere fluttuante, a seconda degli andamenti dell’economia e deve cercare di rilanciare sicuramente gli investimenti pubblici, salvaguardando però anche l’andamento di quelli privati. E’ ineterssante, a questo punto, chiudere con la visione che ha in questo momento il Governo Italiano della politica fiscale ed in particolare dell’uso che fa della stessa per rilanciare gli investimenti.
Il Ministro dell’Economia Padoan ha confermato l’intenzione del Governo di ridurre le imposte nella prossima legge di stabilità ed ha precisato che questa riduzione riguarderà non solo le persone fisiche, ma anche le imprese.
A quest’ultimo riguardo risulta, in particolare, che tra le varie ipotesi allo studio vi è una riduzione generalizzata dell’aliquota dell’imposta sulle società (Ires) di due/tre punti percentuali. L’annunciata intenzione del governo di ridurre il carico fiscale sulle imprese non può che essere accolta con favore. È infatti fuori di dubbio che la riduzione della pressione fiscale aumenta la competitività delle nostre imprese ed, al contempo, che il carico tributario sulle imprese italiane è mediamente superiore a quello degli altri principali Paesi europei (la Gran Bretagna, ad esempio, ha ridotto la propria aliquota al 20 per cento).
La questione da porsi, tuttavia, è se la riduzione generalizzata dell’aliquota Ires sia la scelta più efficace nell’attuale contesto economico ovvero se sia più opportuno adottare provvedimenti “mirati” e selettivi.
La mia impressione è che questa seconda strada sia quella preferibile. Gli interventi fiscali “mirati” risultano infatti particolarmente indicati quando si persegue la finalità di incentivare specifici fattori. Nella situazione attuale del nostro Paese, un fattore di notevole rilievo è quello degli investimenti. Negli anni della crisi, infatti, in Italia si è registrato un calo degli investimenti superiore rispetto a quello mediamente verificatosi negli altri Paesi avanzati. Basti pensare che dal 2007 al 2014 gli investimenti sono scesi di circa il 30%, passando in rapporto al PIL dal 21,6% del 2007 al 16,9% del 2014 (fonte: Relazione annuale della Banca d'Italia del 26 maggio 2015).
Un sensibile incremento degli investimenti è quindi molto utile per dare un impulso alla ripresa economica ed al contempo per agevolare l'innovazione tecnologica e produttiva delle imprese (soprattutto di quelle industriali), rendendole più competitive sui mercati mondiali. In questo modo, si potrebbe tra l'altro contribuire a rafforzare la vocazione manufatturiera ed esportatrice del nostro Paese, con positivi effetti a cascata. Per perseguire questo obiettivo sarebbe, quindi, auspicabile uno stimolo fiscale agli investimenti d’impresa.
Di recente è stata introdotta l’apprezzabile normativa sul c.d. patent box, che prevede benefici fiscali per i redditi derivanti da beni immateriali (brevetti, marchi etc.). Occorrerebbe pertanto favorire con misure fiscali “ad hoc” la realizzazione di investimenti produttivi in beni materiali (impianti, macchinari, etc.). Il governo francese ci ha già pensato e proprio poche settimane fa ha varato la c.d. legge Macron, che concede alle imprese un’extra-deduzione dal reddito imponibile pari al 40% degli investimenti in impianti, macchinari e simili, in aggiunta all’ordinario ammortamento. Si tratta, allo stato, di una misura una tantum, perché vale solo per gli investimenti realizzati entro aprile 2016.
Nel nostro Paese lo stimolo fiscale agli investimenti potrebbe anche seguire logiche diverse rispetto all’esperienza francese. Ad esempio, si potrebbero agevolare gli investimenti effettuati in eccesso rispetto a quelli ordinariamente necessari per ripristinare lo stock esistente. Così, si potrebbe concedere un credito d'imposta o un’extra-deduzione fiscale in proporzione agli investimenti realizzati in eccesso rispetto agli ammortamenti dell’anno o rispetto alla media degli ammortamenti degli ultimi anni ovvero ancora rispetto ad un importo comunque calcolato con riferimento a tali ammortamenti. In questo modo le imprese sarebbero spinte ad incrementare il proprio ciclo di investimenti rispetto a quelli che presumibilmente effettuerebbero in ogni caso.
Analogamente, vincoli di bilancio permettendo, si potrebbe prevedere che questa misura di stimolo abbia una maggiore stabilità nel tempo, e non sia limitata agli investimenti realizzati in un breve arco temporale. È infatti presumibile che la ripresa degli investimenti richieda un tempo ben superiore ad un anno. Vi sono certamente varie modalità per calibrare interventi di questo tipo. Quel che resta fermo, però, è che uno stimolo agli investimenti è fortemente auspicabile e che la leva fiscale può costituire lo strumento giusto per realizzarlo. In quest’ottica, quindi, a parità di minor gettito, un intervento fiscale mirato per favorire gli investimenti può rappresentare una più valida alternativa rispetto alla generalizzata riduzione dell’aliquota fiscale sulle imprese.