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ENRICO CARUSO, 'A VOCE 'E NAPULE – HistoriaPage

di CLEMENTINA LEONE

La voce umana è un fenomeno complesso, soprattutto se pensiamo alla sua definizione estetica e culturale. In questo caso non esiste certamente una definizione di bello che possa abbracciare tutte le innumerevoli manifestazioni culturali legate all’emissione vocale che esistono al mondo.

Enrico Caruso è stato uno dei più grandi cantanti della storia,  non solo per la sua straordinaria voce e il suo talento, ma soprattutto per il modo in cui riusciva col suo canto a coinvolgere tutti. Nato a Napoli il 25/2/1873 al numero 7 di via San Giovanniello, nella chiesa vicino casa, il piccolo Enrico iniziò a  cantare nel coro e la sua voce, limpida e potente, suscitò subito tra i fedeli presenti grande  entusiasmo ed ammirazione. Da quel giorno iniziò la grande gavetta di colui che come solo i numeri uno sanno fare, grazie alla sua voce stupenda, riusciva a trasformare tutte le canzoni in poesia. Fenesta ca lucive, Michelemmà, Luna nova, Voce ‘e notte, Torna a Surriento ecc… tutte  interpretate con sentimento e passione a feste e matrimoni, fino a quando  nel 1891 incontrò il baritono Misiano che lo convince a prendere lezioni di canto dal Maestro Guglielmo Vergine. Da quel giorno finalmente la svolta. Difatti,  il 16/11/1894, dal teatro Nuovo ebbe  inizio la sua luminosa carriera. Al  teatro San Carlo di Napoli Caruso riuscì ad incantare tutti nella Manon di Massenet. Al teatro la Scala di Milano invece  debuttò con la Boheme di Puccini diretta da Arturo Toscanini ecc… Dopo uno stop in Italia, lo ritroviamo nel 1902 al Covent Garden di Londra e nel 1903 al Metropolitan di New York le sue interpretazioni gli fruttano mille dollari la sera! Pur essendo pieno di dollari, la lontananza dalla sua Napoli e i dissapori con la moglie Ada Giachetti dalla cui unione erano nati due figli, Rodolfo ed Enrico, gli tormentano l’animo. Per questo, dopo la separazione dalla moglie Ada, ritorna a Napoli nel 1909 dove incise il primo dei 22 dischi con canzoni napoletane: Mamma mia che vò sapé, Core ‘ngrato, Canta pe me, Fenesta ca lucive, Passione, Io m’arricordo ‘e Napule, Torna a Surriento e ‘O sole mio una interpretazione, quest’ultima, rimasta insuperata. All’alba del 2 agosto 1921 prima di lasciare questo mondo, assistito da amici, parenti e dalla sua seconda moglie l’americana Dorothy Benjamin, esprime un desiderio: “Faciteme vedé Napule e ‘o sole,’o sole mio!”. Guardava lontano, forse cercava la zona di San Giovanniello dove era nato; forse udiva la voce di bambino quando cantava nel coro della chiesa, quella voce che stava per entrare nella leggenda!

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