Villa Ravaschieri - Roccapiemonte, Salerno

di CLEMENTINA LEONE

La storia è custode della nostra provenienza e origine. Studiarla appaga la sete di conoscenza e dà una risposta ai nostri quesiti esistenziali. Ci aiuta a capire chi siamo, perché ci spiega l'origine del nostro contesto quotidiano e della nostra  cultura. Tra tutte quelle che sicuramente lasciano senza fiato, perché ricche di colpi di scena degni delle migliori fiction, c'è sicuramente quella di Villa Ravaschieri.

 Il suo percorso infatti, inizia dopo il XIII secolo, coi feudatari e i vassalli che lasciarono l’intra moenia della Rocca di San Quirico a favore l’in plaio montis di Roccapiemonte, dove in realtà già erano presenti alcuni villaggi, con le relative abitazioni, santuari e chiese. Per risalire alla prima citazione di Palazzo Ravaschieri, tuttavia, occorrerà fare un riferimento a un documento del XVI secolo del Vice Regno spagnolo, nel quale si notificava un «palacio con su jardin nella pianura dei los casales dominata da la Roqueta, il castello sul Solano». Una storia importante, che, nel corso del tempo, ha visto a Palazzo Ravaschieri alternarsi baroni, conti e una dinastia di cinque duchi. Per questo, esso ha rappresentato il simbolo del potere feudale e aristocratico dei Ravaschieri-Fieschi e dei nobili di Lavagna. Ma non solo potere, perché nelle sale della Villa Ravaschieri si sono susseguiti anche poeti, letterati, filantropi e, qualche volta persino contadini. Gabriele D’Annunzio  per esempio, si ispirò all’ultimo duca di Roccapiemonte per la sua celebre opera letteraria Il Piacere, ambientata proprio a Villa Ravaschieri. Difatti, nel protagonista del romanzo, (che forse romanzo non è) aleggia lo spirito del giovane principe Fieschi che riposa nella cappella sanfeliciana annessa. Nel Parco della villa invece, sembra ancora di assistere ai fioretti del nostro principe insieme a G. D’Annunzio e a  quelli della migliore aristocrazia europea. Inoltre, sempre lo stesso è composto da alberi secolari tra cui un Pino risalente al 1650. Una conifera imponente, un pino trino cioè portatore di tre aghi dichiarato l’albero più bello d’Italia nel 2014. Infine, un'altra meraviglia da godere è la 
cappella dell’Addolorata o di San Vincenzo, risalente al 1720, progettata dall’architetto Ferdinando Sanfelice.
La chiesa è a pianta esagonale e a cupola centrale con quattro cappelle radiali oltre l’ingresso ed il presbiterio. L’articolazione parietale interna è definita dalla sequenza di sei colonne scanalate con capitelli compositi e vanta la presenza di opere pittoriche e scultoriche di grande pregio tra cui un bassorilievo in marmo di Giovanni Duprè.