Laura Morante oggi film, libri e successi

Poco più di un anno fa Mimosa Campironi mi propose un’opera melologo ispirata a Sarah Bernhardt e al suo rapporto con Victorien Sardou e con il personaggio di Tosca, che il drammaturgo aveva scritto per lei.

Si era in piena pandemia, si diceva che i teatri avrebbero riaperto senza tuttavia la possibilità di riempire la sala. Ero quindi alla ricerca di un testo per uno spettacolo produttivamente agile, con non più di due attori sulla scena.

Quella breve lettura lasciava intravedere una personalità insolita e suggestiva. Avendo vissuto molti anni in Francia, avevo naturalmente sentito molto parlare di Sarah Bernhardt, adorata da Oscar Wilde, ammirata da un giovanissimo Sigmund Freud, che le dedica una pagina del suo diario, prediletta da Victor Hugo, e detestata da Anton Cechov.

Della Bernhardt si è scritto che era l’ultima attrice del diciannovesimo secolo (Eleonora Duse veniva invece designata come la prima attrice del secolo scorso), nell’ambiente del teatro francese si raccontano aneddoti, si citano alcune sue battute particolarmente

caustiche, si parla della sua vocazione assoluta, di come si fosse ostinata a recitare anche dopo che, all’età di settantuno anni, le venne amputata una gamba: portata sulla scena su una lettiga dorata, affrontò perfino un’ultima avventurosa e faticosissima tournée americana.

Ma della persona che si cela dietro l’apparenza, la storia e la leggenda di quella che fu forse la prima vera diva, capace di far parlare di sé più o meno quotidianamente i giornali di mezzo mondo, della donna che fu Sarah Bernhardt non sapevo quasi nulla. Forse valeva la pena di cominciare a conoscerla.

Ho dunque intrapreso un lungo percorso, attraverso la vasta mole di libri a lei dedicati, partendo dalla sua autobiografia, tanto rivelatrice del suo carattere, quanto imprecisa, sfuggente e lacunosa per quanto riguarda le vicende non sempre edificanti che hanno contribuito a farne un’attrice e una donna famosissima - osannata e aspramente criticata, ma costantemente al centro della scena - e soprattutto per quel che concerne i fatti della sua vita privata e sentimentale - basti pensare che il figlio Maurice compare per la prima volta nelle memorie della Bernhardt quando ha ormai quattro anni e che nulla ci viene detto su chi potesse esserne il padre.

L’indagine doveva dunque continuare: la bella biografia di Arthur Gold e Robert Fizdale, il libro di Claudette Joannis, quello di Guy Pierrefeux, fino alla documentazione relativa alla causa per diffamazione che Sarah intentò, dopo averle devastato la casa, contro la ex collega e ex amica Marie Colombier, autrice di un best seller dell’epoca che svelava i segreti della Diva.

Più andavo avanti nella mia esplorazione, più mi convincevo che il confronto fra Sarah e Tosca, attraverso la dialettica in gran parte misteriosa e inconscia che sempre si crea fra un personaggio e l’attore che lo interpreta, poteva operare un progressivo e affascinante disvelamento della personalità di Sarah stessa, che gelosia, passione, rabbia, devozione, ribellione non appartenevano solo alla finzione del dramma di Sardou, ma anche alla sua prima magistrale interprete.

Alla fine del percorso, mi è parso di essere finalmente autorizzata a cercare di raccontare Sarah, la sua personalità straordinariamente complessa e contraddittoria: cinica e sentimentale, spregiudicata e sognatrice, superstiziosa e impavida, vulnerabile e battagliera, tanto gelosa della propria privacy quanto insaziabilmente avida di celebrità, e, soprattutto forse, di amore.

È nato così questo testo, suddiviso in tre quadri, che sono anche tre tappe fondamentali del suo rapporto con il personaggio di Tosca: nel primo quadro è il 3 novembre 1887 e Sarah ha appena cominciato le prove dello spettacolo, nel secondo sono passate due settimane e le prove sono in corso.

L’ultimo quadro, infine, la rappresenta all’alba del giorno stesso del contestato ma trionfale debutto del dramma di Sardou, il 24 novembre, al Théatre de la Porte St. Martin.