"QUANNO CHIOVE", BOCCA DI ROSA SENZA PIÙ PASSIONE, TRA BUSINESS E PAURA

enzo buonaEra il 1980, un Pino Daniele 25enne, pubblicava il suo terzo album, "Nero a metà" che in pochi mesi scalò le classifiche, tale da essere, secondo Rolling Stone Italia, al diciassettesimo posto tra i cento dischi italiani più belli di sempre. Una delle gemme di quel LP aveva questo incipit: «E te sento quanno scinne ‘e scale / ‘E corza senza guarda’». Era “Quanno chiove", impreziosito dall'assolo al sax di Senese.

«Ti sento quando scendi le scale, di corsa, senza guardare. Ti vedo tutti i giorni mentre ridendo vai a lavorare. Ma poi non ridi più. E lontano se ne va, tutta la vita così. E tu ti conservi per non morire». E ancora: «E aspiette che chiove / L’acqua te ‘nfonne e va / Tanto l’aria s’adda cagna'». Parole delicate, che raccontavano la giornata di una prostituta, realmente esistita e che abitava nello stesso palazzo di Pino ("te sento quanno scinne 'e scale...") che per tutta la mattina si prepara, i cui passi coi tacchi si sentono picchiettare sul basolato lavico dei vicoli di Napoli. Che poi lavora e «nun rire cchiù», non ride, non può ridere più visto il lavoro che fa. Una ragazza dal pesante fardello del «noto mestiere» che tutti sanno e tutti fan finta di ignorare. «Ma te restano ‘e parole / E ‘o scuorno ‘e te ‘ncuntra’. Ma passanno quaccheduno / Votta l’uocchie e se ne va». Ma ti restano le parole e la vergogna di incontrarti in strada. Ma la canzone di Pino non è solo malinconia, è anche speranza, tutta racchiusa nella chiosa finale del testo: “Tanto l’aria s’adda cagna’”. Il tema dell'acqua, l'acqua catartica a volte per i vicoli arsi dal sole o sporchi e poveri, speranza di quel cambiamento in meglio che ci fa restare vivi e combattere in un quotidiano sempre più difficile. Un brano da rendere tramontati i tempi di “Bocca di rosa”, la prostituta cantata da Fabrizio De Andrè di cui si diceva che lo facesse per passione.

Napoli è stata a lungo capitale della prostituzione: nel passato si era anche dotata di leggi lungimiranti per confinare in precise aree della città il meretricio. Come leggiamo dalla Storia della prostituzione del Di Giacomo, vi erano luoghi, stabiliti dall'Autorità, dove travestiti e prostitute potevano liberamente esercitare. L'utopia, non tanto utopica, era di creare un quartiere separato per la prostituzione come avveniva nel nord Europa, come raccontava nel 1785 Charles Dupaty nel suo Lettres sur l'Italie. Questo quartiere fu l'Imbrecciata, nei pressi di Porta Capuana che nel 1781, fu riconosciuto come l'unica zona dove era ammessa la prostituzione, con il colore della lanterna rossa a segnalare le cortigiane napoletane. Nel 1855, per evitare sconfinamenti, addirittura l’area fu delimitata da un alto muro di cinta e da un cancello d'accesso, presidiato dalla polizia, che faceva cessare ogni attività entro mezzanotte. Questa segregazione durò fino al 1876, quando fu consentita la prostituzione anche in altri quartieri.

A Napoli le prostitute furono dette zoccole. L’etimologia della parola è discussa: c’è chi fa riferimento al latino sorcula, femmina del topo (sorex in latino), assonanza derivante dalla prolificità della specie, e dalla loro sfrenata attività sessuale. Ma altre accreditate fonti raccontano che nel Settecento sui marciapiedi di via Toledo arrivavano dall’alveo dei Camaldoli e dalla collina del Vomero i resti delle acque misti a fanghiglia. Le dame per proteggere il loro abiti, indossavano delle calzature dette zoccoli per via degli alti tacchi (dal latino socculus, dal calzare degli antichi Romani) che evitavano il contatto con il pavimento. ‘E “signurine” (equivalente delle prostitute) dei contigui Quartieri Spagnoli, che cercavano di vestirsi come nobildonne, ma esagerando nei colori, nelle forme e anche nell’altezza delle loro “zoccolette”, termine per metatesi ad indicare poi la loro professione.

Oggi la prostituzione a Napoli e in provincia è un business colossale nella quasi totalità gestito dalla criminalità. Da Cuma a Lago Patria, a nord di Napoli, sui luoghi di Scipione l’africano, quella zona che doveva diventare la Romagna del turismo è oramai la Pigalle napoletana, come anche l’ulteriore girone infernale notturno di cinque chilometri sotto il tunnel del Centro direzionale.

Inoltre a Napoli ci sarebbero un centinaio di case di appuntamento dove oltre ragazze africane e dell’est Europa, vi sarebbero moltissime studentesse appena maggiorenni che per potersi permettere abiti griffati, auto di lusso e cellulare alla moda incontrano in squallidi alberghetti i loro clienti. Ed il contatto avverrebbe su siti specializzati, inserzioni sui giornali e frequentazioni di privé dell’hinterland partenopeo.

E sono tantissimi anche i ragazzi minorenni che ogni sera vanno a fare sesso. Un cambiamento sociologico che ha innovato in modo negativa il rapporto tra cliente giovane e meretrice. I giovani risultano sempre più violenti e cattivi, irrispettosi, dalle richieste sempre più spinte, esigendo sesso non protetto e rapporti di gruppo. Un modo per dimostrare agli altri amici che guardano che si è forti di saperci fare con le donne. Come se si sentissero i padroni del mondo. E lo dimostrano i tanti episodi di violenza subiti dalle prostitute. E tutto fa più paura. Ma pochissimi ne parlano. Ed il sesso a scuola ed in famiglia rimane ancora un tabù.

*docente di marketing turistico e local development