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TRA DONNE, FEMMENE E MALAFEMMINE

enzo buonaSpesso chi viene a Napoli si chiede la differenza tra donna e femmina. A molte donne del nord Italia in genere, il termine “femmina” non piace, anzi, quasi infastidisce. Lo trovano retrogrado, bigotto, obsoleto, maschilista, sessista: la femmina come contrario di maschio e stop. Il termine donna lo preferiscono decisamente, le rende molto più emancipate. Anche perché soprattutto qualche lustro fa, la parola femmina veniva associata al genere femminile di facili costumi, di basso rango, invece “donna” (dal latino “domina”, ovvero signora della casa) elevava la figura.

A Napoli ed in genere nel meridione, il termine femmina non infastidisce, anzi, per moltissime donne, è motivo di orgoglio, ne vanno fiere. Dire ad una donna napoletana che è “femmina”, è uno dei complimenti più belli che si possa fare. Nella lingua napoletana, la donna è la donna, ma la femmina è “a Femmn’”, con la f maiuscola. Per i napoletani l’essere femmina è la sublimazione dell’essere donna, e non il contrario: esseri veraci e sanguigne, delicate e selvagge. C’è la femmina che urla, che piange, che ti attacca al muro per gelosia. C’è la femmina che coccola e che protegge, madre e amante, la tigre padrona e la gatta sorniona. C’è la femmina furbae la femmina che ti fa credere di essere preda, ma in realtà è cacciatrice e che seduce il proprio maschio, C’è la femmina forte e indipendente, la femmina che si ribella.

Sintesi in due parole: sensualità e passione. Ed un nome su tutti, la Sophia Loren, icona della bellezza napoletana per eccellenza, ed del suo essere femmina dalle forme sinuose, zigomi alti, labbra carnose, taglio degli occhi tirato, capelli e pelle scuri.

Fa piacere allora ricordare un brano di Pino Daniele, facente parte dell'album "Un uomo in blues" del 1991. "Femmena", una delle espressioni più complete, fulgide, sensuali e sopraffine dell’esser donna. La “Femmena” di Pino è grazioso stupore, perfezione insita nella semplicità, che rende perfetta colei che la indossa con la sua disinvolta padronanza. E’ il perpetuo desiderio di essere ma soprattutto di amare.

Viene naturale allora domandarci se mai la Malafemmina di Totò (1951) scritta in un albergo di Formia su un pacchetto vuoto di sigarette, Camel o Turmac,rappresenterebbe l’esatto contrario di quella di Pino Daniele. Malafemmena è uno dei brani più struggenti di tutta la storia della musica italiana con quel ”te voglio bene e t’odio” a ricordare tanto quello che Catullo diceva della sua Lesbia “odi et amo”.

In napoletano malafemmena non ha solo un significato moralmente dispregiativo, ad indicare una donna di malaffare, o volgarmente una poco di buono; nella cultura partenopea, il termine viene riferito anche quelle donne combattive e fortemente passionali e che fanno soffrire. Totò lo usa così, di una femmina che fa soffrire le pene d'amore a chi la ama.

Totò ebbe infatti una vita sentimentale tumultuosa, ma amò veramente solamente una donna: sua moglie Diana Bandini Rogliani, madre della sua unica figlia, Liliana. Totò dedicò proprio a Diana la canzone ‘Malafemmena’, come rivelato da Liliana de Curtis e come risulta anche dalla dedica acclusa al testo della canzone depositato dall’autore presso la SIAE.

La moglie Diana sarebbe stata, infatti, colpevole di essere venuta meno ad una promessa che i coniugi si erano scambiati: anche se ufficialmente separati avevano concordato di convivere nella stessa casa e condividere anche il talamo come fidanzati sino al raggiungimento del diciottesimo compleanno della figlia Liliana. Ma Diana venne meno all'accordo, sposando un altro uomo, l'avvocato Michele Tufaroli, perdendo così la fiducia del suo ex marito Totò che continuò a soffrirne fino all'ultimo istante della sua vita.

*docente di marketing turistico e local development

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