QUELLA DELIZIA DELLA CASSATA SICILIANA NATA AD OPLONTIS

enzo buona

A Oplontis, l'odierna Torre Annunziata, venne alla luce nel settecento una villa d’otium enorme, attribuita a Poppea Sabina, seconda moglie di Nerone. Sulla parete di un triclinio fu trovato un magnifico affresco di un dolce decorato con frutta dalla incredibile somiglianza con la cassata siciliana, da allora rinominato cassata di Oplontis, il dolce della Pompei patrizia del 79 d.C.

Un affresco unico di un dolce evidentemente molto amato dagli Antichi Romani, tanto da volerlo raffigurare in un affresco, dove le pennellate ed il contrasto coloristico lo fanno sembrare come appena dipinto, grazie alla lava del Vesuvio che l’ha protetto sino ai nostri giorni. 

torre annunziata pompei cassata di oplontis 1

I dolci per gli antichi romani erano un piacere unico, molti a base di frutta, come uva, mele, pere e fichi, accompagnati dal miele. Non esisteva ancora il cioccolato, provenendo il cacao dall'America. Il dolcificante non era lo zucchero, bensì il miele e non aveva neanche il giro di pasta di mandorle verde come la cassata moderna, bensì era di un bel rosso pompeiano.

I Romani, dato che  la vita di quei tempi era regolata dal sole, si alzavano presto, facevano una robusta colazione (lentacolum) a base di pane, formaggio, frutta secca e miele; verso mezzogiorno facevano uno spuntino leggero (Prandium) e dopo essersi recati alle terme verso le tre o le quattro del pomeriggio iniziavano a cenare (Coena), si stendevano sui letti tricliniari dando inizio al Convivium che si apriva con abbondanti antipasti (Gustatio) cui facevano seguito i piatti forti (mensa prima) e, a chiusura, il dessert (Mensa secunda) in genere a base di frutta e dolci.  E la cassata di Oplontis è uno di questi.

Quantunque la ricetta di questo dolce non sia riportata in documenti ufficiali sulle usanze culinarie degli antichi Romani, quello che molti ancora non sanno è che di recente sono stati rinvenuti, in una camera, diversi papiri miracolosamente scampati alla furia del fuoco. In uno di questi papiri, è riportata proprio la ricetta della cassata di Oplontis. Analizzando il papiro, sembra che chi la scrisse non fosse proprio un letterato visto il latino sgrammaticato. Forse un semplice cuoco che aveva preso appunti per un suo ricettario. A quel tempo tutto il personale di servizio delle famiglie abbienti, e quindi anche i cuochi, era costituito da schiavi. Di sicuro questo ignoto pasticcere aveva ricevuto un'istruzione tale che gli permetteva di poter scrivere, ma non essendo di madrelingua latina aveva una dimestichezza del tutto superficiale con la lingua di Roma.

Quella ricetta era basata su ingredienti come frutta secca tagliata a dadini, albicocche, prugne, uva sultanina, datteri, miele; noci spellate; pinoli; ricotta di mucca e farina di mandorle. E quel colore rosso esterno forse un ingrediente “speciale”, data l’opulenza della villa, probabilmente la buccia delle mandorle, con le quali era poi possibile produrre lo sciroppo dal colore rosso, appunto.

L’Archeocucina è  oggi uno strumento di lettura  del nostro passato, nasconde il significato più profondo del nostro essere distanti e vicini dai nostri antenati. Studiare e cucinare le ricette antiche arrivando a degustarle con tutti i sensi  è un viaggio nei secoli che ti permette di apprendere gli usi e costumi di un popolo avendo a che fare con discipline come la gastronomia,  l’archeologia, la botanica, l’arte musiva, la scultura, l’agricoltura. Un esercizio speculativo come quando si traduce dal greco e dal latino, per capire cosa eravamo, come siamo cambiati nel tempo e cosa vogliamo essere in futuro.

Si pensi alla rivisitazione della cassata di Oplontis da parte di grandi chef quali Sal De Riso o Paolo Gramaglia o di tanti ristoranti che nel loro menu prevedono l’archeocucina. Iniziative che misurano concretamente le potenzialità del turismo culturale ed archeologico. In questo senso la Campania costituisce un unicum. Chi raggiunge Pompei ed Ercolano, Oplontis, Stabiae e Boscoreale, senza contare gli altri siti, è spinto proprio dalla possibilità unica di comprendere più intimamente la vita degli antichi in tutte le sue sfumature. E perciò perché non credere al fatto che la cassata di Oplontis sia potuta essere la prima cassata visto che la storia della cassata siciliana iniziata nel IX-XI secolo con la dominazione araba sia poi diventata il simbolo della Sicilia, solo intorno al 1900, grazie ad un pasticcere palermitano, Salvatore Gulì, che sostituì la pasta frolla con il pan di spagna e poi mixata con crema di ricotta, cioccolato e canditi?

*docente di marketing turistico e local development