enzo buonaLA SCUOLA DI POSILLIPO: QUEI PITTORI CON LA CAMPANIA NEL CUORE E SULLA TELA E IL DNA DA VENDITORI

La pittura di paesaggio nacque in Olanda. La pittura di paesaggio è nata per la Campania. Ad inizio Ottocento, Napoli e la Campania esercitavano una grande attrazione su intellettuali ed artisti grazie alle sue bellezze. Napoli divenne meta del Grand Tour, di quel viaggio di studio e svago compiuti da intellettuali, studiosi ed artisti provenienti generalmente dall'Europa centro-nord.

Ciò portò anche ad una forte domanda turistica fatta non solo di conoscenza dei luoghi ma anche di ricordi del luogo, da portare a casa. La maggior parte di questi souvenir napoletani erano dipinti che si distinguevano per il piccolo formato, a ”pagina di libro”, caratterizzati da inquadrature quasi “fotografiche”. Era la base della “Scuola di Posillipo”, fenomeno artistico importante, ma dalla denominazione quasi dispregiativa e riduttiva, affibbiata dai pittori accademici, e che si rifaceva a Posillipo perché molti di questi pittori vivevano lì. Artisti un po’ bohemien: trascorrevano la maggior parte del loro tempo immersi nella natura per coglierne istante dopo istante la luce, i colori, e le mutevoli forme di alberi, mare, vedute sublimi, artisti che li vedevi camminare con le loro tele, colori e pennelli sotto il braccio, pur di andare a caccia di ispirazioni e angoli incontaminati. Meta preferita dove dipingere all’aria aperta, ed inizialmente la collina di Posillipo, garantiva loro tutto ciò che potevano desiderare. Il paesaggio così non solo era il centro della rappresentazione, ma anche aula su cui formarsi.

Dall’alto di Posillipo, si vedeva il golfo con le barche, il Bagno Elena dove veniva riprodotta sulla tela “a sciabica”, pesca praticata da almeno dieci pescatori alla volta, con la quale procacciare “spigole, cuocci, seppie, saraghi, triglie, alici, lacerti, pisce ‘e puosto“. Inoltre la "Tomba di Virgilio", le "Rampe di San Antonio a Posillipo", la Certosa di San Martino, il Vomero. E soprattutto il Vesuvio con il famoso pino di Posillipo, per anni, fino al suo abbattimento per malattia, per il National Geographic, l’albero più famoso d’Italia.

Mano a mano i soggetti si ampliarono: tutto il Golfo di Napoli, dalle marine di Sorrento alle bellezze di Castellammare, delle isole di Ischia, Capri e Procida alla costiera amalfitana, fino a Pompei, Ercolano e Paestum.

Questo gruppo di giovani pittori erano anche degli ottimi venditori. Non a caso il loro target commerciale erano i turisti, i quali  amavano moltissimo questi quadretti.

L’arrivo a Napoli di Antonio Sminck van Pitloo, un pittore olandese rivoluzionò la “Scuola di Posillipo”, adottando il metodo di pittura en plein air (all’aperto). Pitloo sosteneva che l’artista dovesse rimanere fedele al paesaggio, raccogliendo le prime impressioni in studi e bozzetti tramite l’osservazione dal vero e nella resa impressionistica degli effetti di luce e di colore. Tutto andava bene: dalla tempera, all’olio, all’acquarello, realizzate su tela o su materiale di recupero, come legno, carta o cartone. Una delle sue tele famose fu quel “Boschetto Francavilla al Chiatamone”, un olio di 44 x 75 centimetri col quale nel 1824 vinse, la cattedra di Paesaggio dell'Accademia borbonica di Belle Arti, la prima cattedra universitaria del genere in Italia.

Pitloo a Napoli formò centinaia di artisti. Purtroppo morì giovane nel 1837, per un’epidemia di colera (una settimana prima era scomparso, per un attacco d'asma, in una villetta presso Torre del Greco, anche Giacomo Leopardi). Gli successe Giacinto Gigante, che elaborò una tecnica di pittura ad acquerello definita gouache. La celebrità del Gigante raggiunse il picco quando Ferdinando II di Borbone, gli commissionò delle opere con vedute di Gaeta per la Regina Maria Teresa. Nel contempo fu nominato professore onorario dell’Accademia delle Belle Arti, oltreché invitato a corte da Francesco II per insegnare pittura alle figlie e chiamato presso la corte dell’Imperatrice di Russia.

Ma non solo Gigante. Ormai erano cresciuti Gioacchino Toma, Achille Vianelli, Gabriele Smargiassi, Salvatore Fergola, Frans Vervloet, Ercole Gigante, Alessandro Fergola, Francesco Fergola, Beniamino De Francesco, Guglielmo Giusti, Alessandro La Volpe, Gustavo Witting. Artisti che si spostavano anche in altre zone della Campania. Infatti tra il 1860 e il 1869 i pittori della scuola di Posillipo, fra cui lo stesso Gigante, trascorsero lunghi periodi di tempo anche a Sorrento ospiti del Conte Pompeo Correale, mecenate e dilettante di pittura, che aveva trasformato la villa di famiglia in un rifugio per artisti e letterati e che possedeva nel suo studio anche molte opere dello scomparso Pitloo, donate dalla figlia Sofia ai Conti di Correale, oggi ancora esposte presso il Museo Correale di Sorrento.

Ma tra i tanti artisti, ci piace ricordarne uno, ai tanti sconosciuto, malgrado considerato tra i più bravi paesaggisti del nostro Ottocento: lo stabiese Enrico Gaeta (1840 – 1887). Seguace ed amico del Gigante, i suoi luoghi d’ispirazione furono sopratutto i boschi di Quisisana, le colline di Pozzano, il Faito, Scanzano, gli scavi di Pompei, masserie ed interno chiese. Dipingendo sia a olio che ad acquerello nel 1867 Gaeta partecipò all’Esposizione Universale di Parigi con il quadro I Pini, un olio su tela, 64×48, ritenuto il gioiello indiscusso della mostra.

A Castellammare lo si ricorda non solo perchè nel 1962  la città gli dedicò una strada, modesta, ma anche per il famoso Hotel Stabia, dalla sua famiglia un tempo gestito. Quando l’albergo fu recensito sul mensile "Den" (Anno II - N.8 - Agosto 2003) così nell’articolo era scritto: "La scuola di Posillipo nasce qui". Nato nella seconda metà dell'Ottocento con il nome di Grande Hotel Stabia, l'albergo ben presto fu dato in gestione dai proprietari di allora ai fratelli Gaeta, già titolari della pensione trattoria Stabia (via Marina, oggi via Bonito). Uno dei Gaeta, Enrico, è il celebre pittore, iniziatore della "Scuola di Posillipo". Delle opere di Gaeta, per qualche periodo, l'Hotel Stabia ne ospitò alcune, ora sono a Capodimonte, a San Martino, nella Banca Stabiese, o, facenti parte di collezione privata.

Cosa è rimasto oggi a Napoli, di quella Scuola di Posillipo? A parte le tante collezioni private, a Palazzo Zevallos Stigliano a c’è una sezione importante dedicata con tele di Gigante, Fergola, Palizzi, Morelli. Come pure all’Accademia di Belle Arti, ubicata nell’ex convento di San Giovanni è possibile vedere opere di artisti della scuola di Posillipo, di pittori francesi e della scuola napoletana come Francesco Saverio Altamura e Gioacchino Toma, solo per citarne alcuni.

Intanto la Posillipo dell’Ottocento non c’è più. Di sotto le rovine dell’ex Italsider di Bagnoli, regnano sovrane ai piedi della collina. I campi hanno lasciato posto a ville liberty, ville moderne e poi palazzine e parchi. Villa Oro o Villa Crespi, per citare qualche esempio di architettura moderna sono le nuove icone della Posillipo contemporanea.

Ma a Napoli c’è qualcuno che oggi la scuola di Posillipo sta tentando di risuscitarla: un pittore napoletano Claudio Scarano che ha scelto di restare ancorato a quella pittura posillipina. Ogni giorno prende il cavalletto e la tela e raggiunge un luogo, una veduta, un mondo poetico e lo trasporta su tela. La sua pittura è stata definita “disarmante e semplice emozione” e l’artista è, secondo critici e giornalisti, “l’erede di una scuola di alta qualità artistica” con una grande capacità di valorizzare al meglio i colori suggeriti da “madre natura” Le sue mostre stanno riscuotendo un enorme successo in tutta Italia.

*docente di marketing turistico e local development