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"LO GUARRACINO", QUELLA ZUPPA DI PESCE PRIMA TARANTELLA AL MONDO

Tempo di zuppa di pesce. Se Maria Malibran la più famosa cantante lirica dell’ottocento, pubblicò in Francia la prima tarantella in napoletano dal titolo No cchiù lo guarracino permettendo che il ballo arrivasse nei salotti buoni aristocratici; se negli Stati Uniti dal 2016 la tarantella è diventato materia alla Georgetown University di Washington con il testo “The Neapolitan Canzone in the Early Nineteenth Century as Cultivated in the Passatempi musicali of Guillaume Cottrau”;

Se anche l’inno della Champions suonato in stile tarantella su YouTube ha ottenuto migliaia di visualizzazioni in tutto il mondo, lo sdoganamento allora della tarantella, da sempre ballo ghettizzato e deriso come pratica di guarigione da uno stato alterato, sorta di esorcismo in musica per scacciare il demone che invasa e possiede il tarantato, si può dire oggi ormai concluso.

Uno sdoganamento tramandandosi oralmente di generazione in generazione evolvendosi nella funzione, ora di ballo collettivo ora di coppia, ora di processione nelle feste rituali, ora di ritmo e di forma musicale e di serenate portate alla finestra dell'innamorata.

Molta parte del merito è attribuibile ad una canzone in particolare, Lo Guarracino, scritta da ignoti nel ‘700, considerata la prima tarantella della canzone partenopea. Esaltata da Roberto Murolo e la Nuova Compagnia di Canto Popolare, è una di quelle canzoni che fanno capire perché la canzone napoletana è “pura cultura”. Non a caso sulla trascrizione ottocentesca di Cottrau (la versione più nota di “Lo Guarracino”), vi è scritto "canzone sulla tarantella": dunque un mix tra i due generi, caso unico nella musica napoletana.

Diciannove strofe, una vera e propria epica del mare e celebrazione della fauna ittica del Golfo di Napoli. Una zuppa di pesce potremmo dire oltreché una vera e propria pantomina sessuale derivante da il guarracino, un pesce non commestibile, che però secondo la tradizione popolare era quasi magico, propizio alla fertilità delle giovani coppie di sposi. Una canzone dove verrebbero simboleggiati i tre momenti del rapporto amoroso vecchia maniera, prima dell’avvento dei social diremmo oggi: l’uomo che corteggia una donna, poi donna ed uomo si stringono nell’amplesso, infine la donna che corteggia l’uomo.

La canzone narra la vicenda, molto umana di una battaglia tra pesci schierati chi a favore e chi contro il Guarracino, che, innamorato della Sardella, deve rinunciare al proprio amore, perché lei era stata promessa all'Alletterato. Rivali in amore per una timida sardina.

La genialità del testo è nella sua ambientazione, i fondali marini del golfo di Napoli ed i personaggi, pesci e molluschi di ogni specie: triglie, trote, tonni, calamari, pesci spada, ostriche, vongole, aragoste ecc... Non a caso la canzone ha il vanto, più unico che raro di aver interessato non solo i musicisti, ma letterati, naturalisti e scienziati di tutta Europa.

In sintesi, la trama: un bel giorno il Guarracino decide di ammogliarsi. Si fa bello, infila il vestito migliore con scaglie di pesce, i calzoni di reti con i bottoni di occhi di polpo e le scarpe di pelle di tonno. Scorge la Sardella (sardina) che canta al balcone e arriva il colpo di fulmine. Speranzoso allora va dalla Vavosa (bavosa), affinché informi la Sardella che all’inizio fa la timida, ma poi incoraggiata dall’Alosa, sceglie il Guarracino. Ma la Patella impicciona rimprovera la Sardella, perché così tradisce il suo futuro sposo, l’Alletterato, e va subito ad informarlo: questi preso da gelosia si arma e va in cerca del rivale per salvare l’onore. Entrano in scena allora un sacco di persone che, organizzatesi in due fazioni opposte che cominciano a darsele di santa ragione. Una specie di guerra di Troia subacquea. La baruffa sottomarina non ha un finale: continua all’infinito, senza vincitori né vinti. Anche perché il cantore, stanco dei vocalizzi, chiede agli astanti un bicchiere di vino per riprendere fiato. E non gli si può dar torto: troppi scioglilingua di armi, di pesci e di botte.

Ma quali e quanti sono tutti i pesci citati nella canzone? Furono dapprima Benedetto Croce e lo storico Gino Doria all’inizio del ‘900 a porsi questo quesito, senza riuscirci, perché le difficoltà erano tante e andavano dalla conoscenza ittica alla ricerca di equivalenti in lingua italiana di termini napoletani antichi. Solo nel 1982 con un cattedratico, Arturo Palombi, e nel 1990, con uno studio pubblicato dalla Società di Biologia Marina, della biologa Maria Cristina Gambi fu possibile definire con certezza almeno “51 organismi dei 72 citati nella canzone”. La Gambi fornì anche l’esatta denominazione scientifica di ciascun pesce o mollusco, la sua denominazione latina e la determinazione della famiglia e della specie. Chiarendo così che il guarracino non era altro che la castagnola nera, “Chromis chromis” in latino. E non è tutto: la lettura della canzone le aveva consentito di capire i metodi di pesca usati a Napoli nel Settecento, nonché il grado di ricchezza della fauna che, a quell’epoca, connotava il golfo.

Ma tornando alla canzone, c’è chi ipotizza un significato iconologico ulteriore. Perché scegliere il guarracino come attore principale e non ad esempio una spigola? In fin dei conti il guarracino era un pesce piccolo, comune, non commestibile. La risposta è forse perché il guarracino era nella metafora, appropriato per la parte di eroe popolare, mentre l'Alletterato, sarebbe stato l'aristocratico colto, non amato molto dal popolo. I due volti storici del popolo napoletano, insomma, perché il mare del Guarracino era lo specchio del mondo di sopra – vivace, animato, rumoroso; – dove a Napoli neanche i pesci stavano zitti. Ciò darebbe il senso al perché nella figura de Lo Guarracino qualcuno vedrebbe allusioni alla rivolta di Masaniello contro gli spagnoli nel 1647.

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