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Concerto del Coro Polifonico di Napoli diretto da Luigi Grima, per il  Festival delle Ville Vesuviane, il 19 luglio 2018 a Villa Campolieto,  Ercolano - CulturaSpettacolo.it

La nave salpa, salutata da un'immensa folla. Mentre si allontana dalla spiaggia Orfeo leva in alto il suo canto, accompagnando il ritmo dei remi che tagliano le onde azzurre del mare. …Eppoi avanti, oltre lo schianto delle azzurre Simplegadi, fino alla Colchide, terra del Vello d'oro.

Quando la polvere e il fumo cominciano a diradarsi, scarmigliato e lucido di sudore appare Giasone. Guida con fermezza le belve, che trascinano l'aratro d'acciaio. Gli animali arano la terra, mentre l'eroe sparge nei solchi i denti di drago che Eta gli aveva consegnato.

Col sorgere della luna, nel campo arato, si delineano forme che diventano sempre più grandi e più chiare. È un esercito immane di guerrieri che viene fuori dal terreno. Giasone, seguendo il consiglio di Medea, scaglia nel mezzo di questi misteriosi esseri un grosso sasso...

Quando finalmente la nave Argo approda sulle coste elleniche gli Argonauti si rendono conto che al termine di quell'avventura non portano con sè solo il prezioso e magico vello d'oro, ma ognuno ha acquisito doni più' grandi come la coscienza dell'essere e la conoscenza dell'ignoto. Il viaggio li ha forzatamente coinvolti in situazioni imprevedibili, proiettandoli in mondi sconosciuti e a contatto con civiltà' ignote.

Ed è qui che, accettare di mettere in campo le proprie certezze e confrontarle con quelle di altri uomini, fu senz'altro la vera, straordinaria prova per gli Argonauti e lo è ancora oggi per tutti quei navigatori che decidono di uscire dalla rotta della convenienza e delle consuetudini per rischiare di sballare, buttare a mare, le proprie convinzioni ancora ben ancorate dal calmo golfo dell'inamovibile buonsenso.

E la vicenda del viaggio si rafforza e si trasfigura nella vicenda di Giasone e Medea: sembra lo struggente dramma dell'abbandono, ma è solo la superficie.

L'incontro, le scelte, i mutamenti sono ripercorsi nei pensieri della maga, nipote di

Circe, barbara della Colchide, trapiantata in terra greca per amore, dopo aver rinnegato le proprie origini, il proprio popolo, la propria patria, ucciso il fratello Absirto spargendone i resti in mare, abbandonato i genitori. “Il cuore mi batteva contro il petto, le tempie. Dimenticavo mio padre, gli dei, la Colchide. Per uno straniero!”

Attraverso Medea il mito ri-diventa umano: “La maga Medea ora non serve più”. Implora “Lasciami i figli nati dalla mia carne” e rinnova la tragedia di quei temi che nella nostra epoca sono stati ridotti a consueto corollario: lo scontro di civiltà, l’emarginazione delle diversità, l'inconciliabile confronto tra il pensiero strumentale- calcolante di Giasone e quello di Medea che si ispira alla totalità.

“Siamo diversi. Voi pensate che portare una strada in un posto risolva tutto. Noi ci perdiamo a scrutare le anatre in volo. Quella che per Voi è una terra desolata, per me è terra benedetta. Pianti un bastone e nel giro di una settimana mette radici, dopo un mese fiorisce e dopo un anno hai il primo raccolto di frutta...”

In realtà, il viaggio è il tramite necessario per raggiungere il profondo della propria anima e li spezzarsi. Quel luogo remoto e inviolato - privato del suo spazio e dal suo tempo – diventa la deriva di ogni certezza e di ogni fondamentale.

 

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