
Molti, il rione Sanità a Napoli, lo hanno sentito per la prima volta, grazie ad Eduardo ne: "Il sindaco del rione Sanità", commedia poi ottimamente trasportata al cinema da Mario Martone.
Il Rione Sanità a Napoli è centro ma nello stesso tempo periferia, che deve il suo nome alla salubrità della zona, secoli fa incontaminata e sede anche di miracolose guarigioni che leggenda vuole avvenissero in quelle sue catacombe, come il cimitero delle Fontanelle, ossario dei defunti della peste del 1656 e delle carestie, oggi luogo di pellegrinaggio turistico. Un’area che si sviluppò dal XVII secolo, dalla costruzione della Basilica di Santa Maria della Sanità, e che divenne l'area prescelta da nobili e borghesi napoletani ed il percorso della famiglia reale dal centro della città alla Reggia di Capodimonte. Percorso tortuoso, per il quale si ritenne necessaria la costruzione di un collegamento diretto, ilPonte della Sanità.
Il cosiddetto tour del Miglio Sacro è il modo migliore per visitare il Rione Sanità: un percorso che parte dalla Basilica della Incoronata Madre del Buon Consiglio, passando per le Catacombe di San Gennaro, la Basilica di San Gennaro Extra Moenia, il Cimitero delle Fontanelle, la Basilica di Santa Maria della Sanità, Palazzo San Felice, Palazzo dello Spagnuolo, Porta San Gennaro, via Santa Maria Antesaecula dove si trova la casa dove nacque Totò, e chiudendo il tour con una bellissima opera di street art«Resis-ti-Amo», che ricopre tutto il muro adiacente Santa Maria alla Sanità che celebra la rinascita culturale del quartiere, ed anche la storia vera di due innamorati che hanno combattuto la ferocia di una grave malattia con l’amore.
Da lì, 80 km ed arriviamo a Cetara, in costiera amalfitana,più volte set cinematografico. Come in“L’uomo, la bestia e la virtù”, diretto da Steno, con Totò, Orson Welles; nella fiction“Capri 2”ma anche location di un film particolare “Le castagne sono buone” del 1970 di Pietro Germi con un giovane Gianni Morandi che interpreta un regista fintamente cinico. Un film non particolarmente bello, ma con una peculiarità: era contro, dichiaratamente ostile agli eventi del 68′, a quel clima di euforia e cambiamento che aveva investito la società e la cultura dell’epoca. Le castagne del titolo volevano evocare proprio quei valori persi, sferrando anche un attacco alla televisione responsabile “della morte della conversazione e dell’intimità familiare”. Un disagio da parte di Pietro Germi che trovò comunanza con quello di altri registi della stessa generazione (vedasi Luchino Visconti del film “Gruppo di famiglia in un interno”).

*Docente di Marketing Turistico e Local Development