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Risultati immagini per ENZO LONGOBARDICHE CALORE, STORIE DI SCUGNIZZI. DA PINO DANIELE A "IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO" AL PITTORE MANCINI

Pino Daniele nel 1977 aveva 22 anni quando pubblicò l’album Terra mia' un grande tributo a Napoli, alle sue angosce ed ai suoi luoghi comuni. Cantava la città che non vedeva nessuno, quella delle stradine, degli anfratti, dei disagi e delle teatrali e tragiche mediocrità quotidiane.

Non nascondendosi dietro un dito, ma esponendo tutti i panni sporchi senza complessi, con severità, ironia. Ma all’inizio non furono rose e fiori, a pochi mesi dall’uscita dell’LP un suo concerto raccolse al castello di Baia appena 200 persone. Un concerto organizzato grazie ad un finanziamento di cinque milioni di lire, della Provincia di Napoli, in cui cantarono anche altri artisti. Pino Daniele ebbe un cachet di 1 milione e 200 mila lira, e qualche bottiglia di vino. Ma visto che i soldi erano pochi fu lui stesso a pagare fari, luci ed il service. In quell’album vi era ‘Che calore' un vero inno di dolore allo sfruttamento minorile che Pino Daniele spiegò così: “ ‘Che calore' vuole esprimere quella parte di me ironica, però vista sotto una veste tragica. Parla dei ragazzi che vengono sfruttati nei bar a Napoli, che sotto questo sole, sotto questo caldo, non devono inciampare, perché se rompono qualcosa la devono pagare”.
Una canzone che istintivamente mi ha ricordato Io speriamo che me la cavo, bestseller sia in libreria grazie al prof. Marcello D’Orta, sia al cinema con la regia di Lina Wertmuller e Paolo Villaggio protagonista nei panni del maestro Sperelli trasferito a Corzano, alla scuola De Amicis ( deàmicis), che giunto per errore lì, dovrà affrontare una realtà mai toccata prima di allora. A partire da una classe praticamente vuota, i bambini sparsi per le strade a fare tutto ciò che la coscienza e le leggi di un paese, non dovrebbero ammettere. I bambini lavorano, chi in un bar, talmente piccolo da cadere nelle vasche dei gelati. Chi fa il meccanico, chi diventa donna a otto anni, e indossa il grembiule. Piccoli teppisti che crescono, fratelli che finiscono in carcere e madri disperate. Il disagio di un padre che non potrà mai offrire ai suoi figli una vita dignitosa, le regole che non esistono e tutto il marcio che va, a ruota libera. Con quella scena finale dallo splendido sottofondo musicale di Louis Armstrong, What a wonderful world,  di quel ragazzino Raffaele, sul motorino, a rincorrere il treno e, perché no, il futuro che lo attende e non gli va incontro perché il suo futuro di scugnizzo sarà segnato per sempre,  
 
Potremmo collegare Che calore ed Io speriamo che me la cavo ad un bravissimo pittore romano ma napoletano di adozione, Antonio Mancini (1852-1930) talento precoce che fece esclamare al pittore americano John Singer Sargent “Ho conosciuto in Italia il maggior pittore vivente”. Mancini era allievo di Domenico Morelli, ed amico di Vincenzo Gemito, con il quale viveva a Napoli nella casa studio di San gregorio Armeno.  Antonio Mancini probabilmente, molti lo conoscono  per un film di Luciano De Crescenzo, “Il Mistero di Bellavista”  e quell’indimenticabile sketch de il Mancini di papà tra Marisa Laurito, alias Marchesa Maria Bonajuto di Pontecagnano, e Riccardo Pazzaglia, alias Marchese Filiberto Bonajuto di Pontecagnano. Chi non ricorda:
“Tu ti stai vendendo il Mancini di Papà?’….
Tu ‘o Mancini e papà nun t’o pigl’ e’ capit???
Il Mancini fu molto attratto dalla vita popolare e dagli scugnizzi partenopei, la cui fanciullezza negata dalle misere condizioni di vita è descritta con intenso realismo e sublimazione poetica e psicologica. Si vedano Carminella, 1870: Roma, Galleria nazionale d'arte moderna; Il prevetariello, 1870: Napoli, Museo di Capodimonte; Il cantore, 1872: L'Aja, Museo nazionale H.W. Mesdag; Saltimbanco, 1872: New York, Metropolitan Museum of art;Bacco, 1874: Milano, Museo nazionale della scienza e della tecnica. Il Mancini ebbe anche un modello preferito; era il figlio della sua portinaia napoletana, Luigiello, che ritrasse numerose volte e a diverse età, sia nella  condizione della vita ordinaria, come  scolaro, che in vesti storiche o travestimenti (saltimbanco, spadaccino). Si racconta che, recatosi a Parigi e constatato un danno ad un ritratto, abbia fatto venire  il bambino da Napoli  fin là per ritoccare realisticamente l’opera.
*docente di marketing turistico e local development

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