Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

Stampa
Visite: 1134

articolo mostra copia

servizio di FRANCESCA ANZANI CILIBERTI

Un po' di New York nell’Ala Brasini del Vittoriano a Roma. La città eterna accoglierà fino al 24 febbraio i capolavori dei due grandi artisti statunitensi che hanno segnato con la loro marcata personalità e con una sferzata di prepotente innovazione il modo di intendere l’arte. Per questo natale regalatevi un’esperienza visionaria nel tempio romano ospite di una cultura che affonda le sue radici oltreoceano e che irrompe rivoluzionando, tecnicamente e astrattamente, grazie anche al contributo di innesti di correnti di stampo europeista, il concetto di arte moderna.

Giriamo attorno al monumentale complesso del Vittoriano meglio conosciuto come “Altare della Patria” e, dopo averne apprezzato la bellezza delle forme e la sua regale imponenza, ci accingiamo ad entrare all’interno dell’ala dedicata alle due mostre organizzate e prodotte dal Gruppo Arthemisia. Da una parte abbiamo il mito di Warhol. In occasione del novantesimo anniversario della sua nascita, un’esposizione che vede come protagoniste oltre 170 opere del re della pop art tra riproducibilità e impersonalità. Accediamo ed è tutto uno scintillio di colori. Insegne al neon “America Graffiti style” suddividono in sezioni tematiche l’arte del Warhol. Eh già perché Warhol non è stato soltanto un pittore quanto un formidabile scultore, nonché produttore, sceneggiatore, pubblicitario, direttore della fotografia e ancora montatore e attore statunitense. La sua figura riveste senza alcun dubbio il ruolo di personaggio più influente del XX secolo. La sua smodata passione per le persone, il suo audace gusto nell’osservarne le movenze, il look, il loro modo di parlare ha dato vita ai ritratti multipli frutto della tecnica serigrafica messa a punto dall’artista a partire dal 1962. Sulle pareti del Vittoriano numerose sono le star riprodotte in serie da Warhol: Marilyn Mornoe, Liz Taylor, Elvis, la Mona Lisa. Sensazionale è la riproduzione in serie delle Drag Queen del ghetto di Manhattan definite dallo stesso Warhol  “archivi ambulanti della femminilità ideale”. In questo sensazionale viaggio virtuale viene presentato il conosciuto e il meno conosciuto. Famosa è la serie “Campbell’s Soup” frutto di un’arte intesa dall’autore quale bene di consumo. E inoltre, per chi non ne fosse ancora a conoscenza, c’è un po' di Napoli anche in Warhol. La serie “Vesuvius”, presentata al museo Capodimonte nel 1985 in collaborazione con il gallerista Lucio Amelio, rappresenta la furia distruttiva del vulcano in chiave pop-espressionistica. Warhol dona una visione drammatica ed estremamente realista delle imprevedibili e devastanti conseguenze dell’eruzione accantonando con assoluta schiettezza “sdolcinate visioni da cartolina” e a tal proposito disse: “il Vesuvio per me è molto più grande di un mito, è una cosa terribilmente reale”. E ancora lo studio 54 con la vip card quale passaporto della mondanità, il Max Kansas City e la Silver Factory. Specchio di una frivola mondanità, I ritratti dei frequentatori della Factory riempiono le pareti dell’Ala Brasini e numerosi sono i personaggi dello star system immortalati nelle sue polaroid. Poi la musica con le copertine degli album ideate dallo stesso Warhol quali la famosa banana di Velvet Underground & Nico e i jeans di Sticky Fingers dei Rolling Stones e infine la moda con gli Italian Portraits, la sua devozione per Giorgio Armani e la sua collaborazione con Bulgari. Dopo questa inimitabile esperienza ne saprete di più su colui che, come pochi altri, ha cambiato notevolmente il corso della storia, influenzando e guidando con abile astuzia e con arguta genialità le masse. E per quanto riguarda i 15 minuti di celebrità che, a detta sua, ognuno dovrebbe avere nella propria vita, il nostro caro Warhol non ha di che lamentarsi!

Dopo Warhol andiamo a conoscere un pò di più Jackson Pollock e altri tra i più grandi esponenti della scuola di New York. Qui l’atmosfera è più scura e taciturna. Direttamente dal Whitney Museum di New York le tele degli “Irascibili”. Questo è un viaggio introspettivo che ricalca i tratti salienti del secondo dopoguerra, periodo di rottura con il passato in cui un gruppo di artisti si ribella alle regole della nuova società del benessere rendendo fulcro delle sue opere l’irrazionalità e l’imprevedibilità della natura umana. La mostra riporta egregiamente alla luce gli anni della protesta e la tenacia di questo gruppo di autori statunitensi e non che ha cambiato completamente il modo di concepire l'arte in tutto il mondo. Di Pollock ci racconta la sua vita, il suo matrimonio con la pittrice statunitense Lee Krasner e il suo essere una persona riservata e timida da riuscire ad esprimere se stesso esclusivamente mediante le sue energiche e irrazionali pennellate su tela. “Drip painting” era la tecnica utilizzata dallo stesso Pollock, un raping impulsivo e irrazionale paragonato alle improvvisazioni jazz.  La gestualità che aveva l’artista nel dipingere viene illustrata mediante video multimediali del suo passato che lasciano presagire spiragli della sua spigolosa e controversa personalità. Siamo in pieno espressionismo astratto. Ed ecco apparire su una grande parete scura la famosa tela “number 27” larga quasi 3 metri. Il gioco di colori creato dall’artista è ipnotico e la luminosità varia a seconda dell’angolazione ottica. Un’ emozione alla quale è quasi impossibile sfuggire! Del resto Gauguin tempi orsono affermava “Innanzi tutto l’emozione, soltanto dopo la comprensione. Ed è anche questo il motivo fondamentale per il quale Pollock non amava dare nomi alle sue opere, proprio per non influenzare l’interpretazione dello spettatore. Del nostro Jackson non abbiamo molto ma la scuola di New York viene inoltre rappresentata dalle tele di Brooks, Gorky, Kline, Pousette- Dart, De Kooning e altri rappresentati di questa corrente anticonformista che attribuiscono più valore all’emozione umana che ai vari rapporti di forma o di colore.

Consiglio del giorno: Osservare una tela, guardarne i colori, le linee, le forme cercando di comprenderne il significato ci avvicina si alla conoscenza dell’autore che l’ha realizzata ma ci guida innanzitutto alla conoscenza di noi stessi.

Autenticati