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SUA ECCELLENZA, LA MOZZARELLA DI BUFALA: L'ORO BIANCO DELLA CAMPANIA CHE PIACE ANCHE ALLA SHARIA MUSULMANA

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La SS. 18 che da Salerno attraversa il Cilento è la “via Lattea”, la Route 66 della mozzarella di bufala campana DOP: è più facile trovare un caseificio che una pompa di benzina, qui si produce il 25% del DOP, sebbene la produzione più corposa, il 70% proviene dalla provincia di Caserta, a Capua ed Aversa ed il restante 5% nel beneventano e napoletano ed in altre piccole zone non campane.

Quella tra Caserta e Salerno è una antica rivalità data essenzialmente dalla salamoia (ma la distinzione è roba da esperti), e rivalità poi continuata nell’accoglienza, dove in generale, nel salernitano, più che del casertano, gli allevamenti e i caseifici aperti ne hanno fatto un cult offrendo idonei spazi di degustazione. La Bufala è un animale longevo, forte. Pesa sui 5 quintali e partorisce un figlio alla volta. Ha una gestazione di 10 mesi, ed allatta la sua progenie per 270 giorni. Si nutre di foraggio fieno e altri prodotti naturali. Tutto ciò rende il suo latte migliore di altri.

Oggi il distretto della mozzarella di bufala campana, che occupa 15 mila addetti, di cui il 34% sono giovani e il 33% donne, viaggia ormai sul miliardo di fatturato. Ed anche il 2018 è iniziato bene, con un +13,5% di produzione in confronto al già anno record 2017. Vendite per il 73% in Italia e per il 27% estere. Primo canale distributivo è la Gdo con il 37,8%, poi dettaglio tradizionale (18,7%), horeca (16,3%), e più indietro vendita diretta, discount. La Francia resta il primo Paese export (il 27,63%), seguita da Germania (23,6%) e Regno Unito (13%). Ma un boom di richieste, la vera novità intanto sta arrivando dai paesi arabi, tanto che ormai una mozzarella su quattro è di bufala campana, con certificazione "halal", quella conforme alla sharia, e quindi da poter essere consumate anche dai musulmani osservanti. Un mercato di milini di euro potenziale.

Ma la mozzarella non sempre è stata un prodotto di eccellenza, anzi, per anni, solo per pochi: infatti per mantenere la sua freschezza, non potendo essere trasportata per lunghe tratte o per giorni, doveva essere consumata subito (potrebbe essere questa una delle ragioni dell’assenza della mozzarella, e non delle provole, negli antichi presepi napoletani, in cui gli elementi gastronomici hanno sempre rispecchiato le tradizioni partenopee).

La sua origine è controversa: c’è chi, come la Princeton University, la farebbe risalire al neolitico, al 5.500 a.C. grazie a dei reperti ritrovati in un sito archeologico polacco, vasi bucherellati simili ai canestri utilizzati ancora oggi per la preparazione dei formaggi freschi; c’è chi la fa risalire dal VI secolo d.C. ai Longobardi o chi ancora al IV-V secolo a.C. ai Greci, che la mangiavano durante gli spettacoli teatrali. C’è chi invece narra che il bufalo sia stato importato dagli arabi dalla Sicilia, dove i saraceni arrivarono (non a caso il Consorzio di Bufala Campana Dop ricorda che a Caserta nel 1700, la bufala era spesso denominata vacca egiziana).

Dal 1300 in Campania i prodotti bufalini già comparivano nei mercati di Capua, Aversa, del Salernitano e dei paesi vicini alle zone di produzione.Si narra infatti che nel XIII secolo molto del merito di promozione, lo ebbero i monaci benedettini di San Lorenzo in Capua, con l’usanza di offrire ai pellegrini in processione al monastero, una “mozza” o “provatura”, unita a un tozzo di pane. Sulla sua diffusione invece, prove certe ne attestano la presenza quando Bartolomeo Scappi, un cuoco di corte papale, in un testo del 1570 elencava i formaggi da lui serviti a tavola.

Il vero boom avviene nel XVIII secolo grazie ai Borbone con la realizzazione nella Tenuta Reale di Carditello della “Reale industria della pagliata delle bufale”, uno dei primi esempi in Europa di zona agricola industrializzata. Come pure anche nel Real Sito di Capodimonte, nacque una “vaccheria Reale” che produceva latticini di bufala.

A Capua la crescente produzione, portò così ad istituire il primo registro dalla razza bufalina in Italia che nel 1811 all’esame del compilatore della Statistica Murattiana, dopo le cure genetiche con bufale della Piana del Sele risultò la migliore in Italia. Con l’unificazione d’Italia nacque ad Aversa, la “Taverna”, il primo mercato all’ingrosso caseario: la mozzarella veniva ritirata nei luoghi di produzione, pesata e avvolta in foglie di giunco o di mirto e trasportata anche fuori della Campania, grazie anche al miglioramento della rete stradale e ferroviario.

Dal 1861 al 1871, dopo l’Unità, come purtroppo tanta industria meridionale dell’epoca, molte pagliare vennero dismesse, ed abbandonata Carditello, la produzione ebbe un lento declino fino agli anni ‘60, fino a quando forse anche grazie anche al fatto che la chiesa cattolica considerando il formaggio un cibo “di magro”, da consumare nei giorni di astinenza dalla carne, avrebbe consentito aumenti di produzione considerevoli.

Oggi grazie al lavoro di tanti imprenditori e agricoltori campani, ai bufali mediterranei ne è stata riconosciuta l’unicità come razza. Ciò ha portato nel 1996 al marchio D.O.P. dal nome: "Mozzarella di Bufala Campana D.O.P." marchio impresso sugli incarti, una bufala stilizzata con i colori d'Italia. Significa che tutte le fasi della produzione e lavorazione della mozzarella di bufala campana dop devono avvenire nella stessa zona. Inoltre i capi bufalini devono essere iscritti ad apposita anagrafe.

Un disciplinare rigoroso: la Mozzarella di Bufala Campana DOP deve essere di forma tondeggiante, (bocconcini, trecce, perline, nodini, ciliegine, ovoline), con un peso tra i 10 e 80 gr. a seconda della forma e fino a 3 kg per la forma a treccia. Di un colore bianco porcellanato con pelle sottile e superficie liscia. Un metodo di produzione che prevede latte consegnato al caseificio filtrato e trasformato entro 60 ore dalla mungitura e riscaldato a 33-36°C. Una coagulazione, ottenuta con caglio di vitello preceduta da siero innesto e rottura della cagliata in due tempi con ruotolo di legno o con spino metallico onde ottenere grumi da maturare in recipienti dove, con l’aggiunta di acqua a 95°C, filati e poi mozzati saranno posti in acqua fredda e poi in salamoia.

Per perpetuare questa altissima qualità, a Caserta è nata la “Scuola nazionale di formazione lattiero casearia”, gestita dal Consorzio di Tutela con l’obiettivo di creare le competenze dei casari del futuro, dalla produzione, al legale, all’organizzazione, al marketing, all’export. Per raggiungere questi obiettivi e aumentare le quote di mercato i consorziati, hanno anche pensato di cambiare il rigido disciplinare attuale. Il futuro disciplinare, senza ovviamente mutare le qualità organolettiche, potrebbe presto diventare così: la mozzarella dop potrà avere forme molteplici e più nessun limite di peso; la mozzarella potrà essere congelata; perderebbe la tipicità di un prodotto frersco finito, per poter così essere utilizzata anche come ingrediente per ulteriori prodotti e commercializzata anche senza acqua di governo; infine sarà possibile utilizzare non solo acqua bollente per la lavorazione della pasta, ma anche il vapore per sciogliere prodotti congelati .

Tra le mozzarelle di bufala più amate dai napoletani, quantunque per il suo peso non dop c’è la famosissima “Zizzona di Battipaglia”, il cui peso oscilla tra 1 e 5 kg. conosciuta in tutta Italia grazie al film “Benvenuti al Sud”. All’origine della zizzona c’è un’antica leggenda, della storia d’amore tra una ninfa etrusca, Baptì-Palìa, e il giovane Tusciano. Un giorno Baptì-Palìa si imbattè nel giovane pastore Tusciano, addormentato sulla riva del fiume. Colpita da cupido, ella dopo averlo svegliato con dolci carezze, gli dichiarò il suo amore e come pegno di esso, gli svelò il segreto della mozzata di bufala. Il giovane, ingenuamente, rivelò tale segreto agli abitanti del paese. Quando gli Dei vennero a sapere che i mortali erano venuti a conoscenza del segreto, punirono entrambi, condannandoli a girovagare, senza mai potersi incontrare. Oggi, per fortuna, i due amanti possono dirsi ricongiunti, poiché la ninfa Baptì-Palìa è divenuta Battipaglia, mentre Tusciano il fiume che la attraversa.

Uno dei modi migliori per assaporare la mozzarella di bufala è consumarla al naturale, semplicemente con una goccio d’olio oppure in insalate come la classica caprese, condita con origano e pomodori freschi di stagione, magari innaffiata da vini raffinati, come potrebbe essere il Greco di tufo o il Fiano di Avellino oppure dei rossi come l’Asprinio doc di Aversa o l’Ischia Rosso Per’e Palummo. Infine, diffidare dei prodotti che recano il marchio generico “Mozzarella di Bufala” o “Mozzarella con latte di bufala”. Nel primo caso la mozzarella è prodotta con latte di bufala, che però proviene da allevamenti italiani che non rientrano nel marchio D.O.P. Nel secondo caso la mozzarella è prodotta con latte di bufala mischiato a latte di altra provenienza.

*docente di marketing turistico e local development

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