MOON RIVER

di FRANCESCA ANZANI CILIBERTI

Un vecchio giradischi, Moon River in sottofondo, due calici di rosso, una casa non più ammobiliata in una New York notturna e stranamente malinconica e non può non saltarci subito alla mente il lento più iconico nella storia delle serie tv tutte al femminile.

Per chi non la conoscesse sto parlando di Sex and the City, serie televisiva che ha riempito il nostro cuore di blasonate e forse anche un po' presuntuose aspettative e che ci ha insegnato l’arte del non accontentarsi mai anche a costo di restare delle acide zitelle in compagnia del nostro gatto finchè morte non ci separi, riponendo in noi la (quasi) vana speranza che un uomo così non fosse soltanto una specie in via d’estinzione al pari dei Prolemuri dal naso grosso. Sei stagioni e due film dopo c’è chi ancora si domanda perché Carrie fosse andata completamente in pappa per Mr Big! Il punto è che se anche provassimo a lasciare il lento da parte, a chiudere un occhio, a bendarcelo proprio così da non barare, non potremmo mai abituare i nostri sensi allo stereotipo dell’uomo moderno “pluri-emancipato” che si aggira libero e indisturbato per le strade della città, eco premonitore di una realtà distopica poi non così tanto lontana. Uomini dalla rasatura accentuata e dai piercing sulla lingua o ovunque sia possibile averne, dalla parolaccia facile e dai modi difficili che regalano biglietti dell’ultimo concerto di Killa anziché presentarsi sotto casa con dei tulipani striati avvolti in una carta di giornale, uomini “anabolizzati” a basso tasso steroideo che non conoscono il significato dell’apertura di una portiera e non solo perché “lei potrebbe portarsi via lo sportello”, di un’attesa gentile sotto casa quando sono le due di notte e ti accompagna convinto che “già quello basta e avanza”, del coprire con la propria giacca le spalle della donna con cui è andato a cena e che per farsi bella ha messo quel vestito scollato anche se fuori ci sono dieci gradi e un’umidità da scavare le ossa. Sto parlando di quegli uomini che saprebbero riconoscere ad occhi chiusi un fuorigioco in campo ma che sono del tutto ignari del fatto che “datato” non sempre è riconducibile ad aggettivi quali desueto, obsoleto o, come più comunemente definito dagli accaniti sostenitori del like compulsivo su instagram come strategia di rimorchio, “vecchio” perché del tutto incuranti del fatto che questo termine possa piuttosto accostarsi al nobile significato di “classico”. Classico è un film di Woody Allen, Humprey Bogart avvolto nel suo lungo trench, un abito in fresco di lana blu, un Borsalino, le bretelle di Kevin Costner ne “Gli intoccabili”, Sean Connery nei panni di 007. Classico è eleganza e discrezione ma rappresenta anche quella sana sfrontatezza di cui l’uomo non deve e non può fare a meno in quanto supplemento indispensabile al pari dello smartphone quando ti sei perso e può salvarti solo Google Maps. E dunque parlo a voi uomini che attribuite lo stesso valore di un dito sul citofono ad un poke su messenger, sappiate che se lei non vi risponde ed è un po' che insistete è perché probabilmente “ha cambiato indirizzo”. La verità è che non siamo nate soltanto per piangere davanti a “Titanic”, mangiare patatine in busta con la somatoline sul comò o per rispecchiarci in Bridget Jones dopo l’ennesimo flop sentimentale ascoltando Zarrillo nella playlist tristezza di Spotify. Perché mai non possiamo avvalerci del sacrosanto diritto ad un Richard Gere di turno come quella “gran..fortunata” di Julia Roberts?! E va bene magari proviamo a venirvi incontro abbandonando la sfrontata pretesa di trovarci dinanzi un uomo al pari di Robert Redford in com’eravamo a cui poter dire a rottura conclamata “la tua ragazza è adorabile Hubble!”, un uomo che conosca e menadito tutta la discografia di Baglioni o che apprezzi l’arte compositiva di Beethoven, la Turandot o le poesie di Prevert. Quel che è certo, e che dovrebbe far stato al pari della costituzione o dei dieci comandamenti, è che la società, sebbene abbia rimpiazzato le lettere con le e-mail e ci stia provando con il the matcha al posto del latte, con uber al posto delle automobili di proprietà, con gli e-book al posto dei libri, ha ancora un disperato bisogno di uomini che sappiano scrivere anziché digitare, guidare anzichè prenotare una corsa, sfogliare le pagine di un libro con le dita anziché scorrerle con un click. Con questo non si vuole certo virare verso un “involution road” noiosa e controproducente ma si parla piuttosto di una conservazione di “bonnes manières”, una santificazione del savoir-faire, di un romanticismo puro scevro di sentimentalismi di sorta. Sussurrare anziché sbraitare, riempire spazi anziché creare vuoti perché non si è mai sazi di cultura, di ideali, di tenacia e intelligenza. Sarà anche vero che noi donne sappiamo ben badare a noi stesse, che non abbiamo paura di camminare sole per strada anche se è notte e siamo sole e non c’è nessuno ad aver premura di noi, che non abbiamo bisogno di essere salvate nonostante la Mazzantini la pensi diversamente…quel che è certo è che i sogni ad occhi aperti con cui fantasticavamo ai tempi del grembiule e dell’apparecchio ai denti sono per noi preziosi retaggi e non inutili chimere, che la speranza è sempre l’ultima a morire e che non sappiamo proprio mai resistere davanti a delle spalle larghe e a due mani grandi.