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La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, oggi diretta da Carolina Rosi, propone in coproduzione con la Fondazione Teatro della Toscana, per la Stagione 2019/2020, una delle più fortunate commedie del repertorio eduardiano: Ditegli sempre di sì.

Prosegue così il progetto avviato nel 2016 dalla Elledieffe che, dopo aver incrociato i percorsi artistici di Marco Tullio Giordana e Mario Martone, si affida ora a Roberto Andò continuando così a diffondere e valorizzare l’immenso patrimonio culturale di una delle più antiche famiglie della tradizione teatrale italiana.

Sarà Gianfelice Imparato ad interpretare il ruolo del protagonista Michele Murri; Carolina Rosi sarà sua sorella Teresa; a dirigere la Compagnia sarà Roberto Andò, regista abituato a muoversi tra cinema e teatro, qui alla sua prima esperienza eduardiana.

Ditegli sempre di sì è uno dei primi testi scritti da Eduardo, un’opera vivace, colorata il cui protagonista è un pazzo metodico con la mania della perfezione; una commedia molto divertente che, pur conservando le sue note farsesche, suggerisce serie riflessioni sul labile confine tra salute e malattia mentale.

In Ditegli sempre di sì la pazzia di Michele Murri è vera, infatti è stato per un anno in manicomio e solo la fiducia di uno psichiatra ottimista gli ha permesso di ritornare alla vita normale. Michele è un pazzo tranquillo, socievole, cortese, all’apparenza l’uomo più normale del mondo, ma in verità la sua follia è più sottile perché consiste essenzialmente nel confondere i suoi desideri con la realtà che lo circonda; eccede in ragionevolezza, prende tutto alla lettera, ignora l’uso della metafora, puntualizza e spinge ogni cosa all’estremo.

Tornato a casa dalla sorella Teresa si trova a fare i conti con un mondo assai diverso dagli schemi secondo i quali è stato rieducato in manicomio; tra equivoci e fraintendimenti alla fine ci si chiede: chi è il vero pazzo? E qual è la realtà vera?

 

E’ con grande emozione che mi accosto alla regia di un testo di Eduardo, raddoppiata dall’onore di dirigere la compagnia intestata a un grande amico e straordinario interprete:  Luca De Filippo.

Ditegli sempre di sì è una commedia in bilico tra la pochade e un vago pirandellismo, un congegno bizzarro in cui Eduardo si applica a variare il tema della normalità e della follia,  consegnando al personaggio di Michele Murri, il protagonista, i tratti araldici della sua magistrale leggerezza.

L’intreccio è di una semplicità disarmante e si direbbe che l’autore si sia programmaticamente nascosto dietro la sua evanescenza per dissimulare l’inquietudine, e la profondità, che vi stava insinuando. Come se ne avesse pudore, o paura.

Ecco la storia: un pazzo, erroneamente congedato come guarito dal manicomio che lo ha ospitato, torna a casa dalla sorella Teresa e inizia, lucidamente, furiosamente, a sperimentare, e stravolgere, gli effetti della cosiddetta normalità.

Il luogo dove siamo convocati è il tipico interno piccolo-borghese di Eduardo, il salottino, e subito diviene lo specchio scheggiato della follia del protagonista, l’antro in cui la sua mente può elaborare, manipolare, e distorcere, i ragionamenti e i sofismi di chi gli viene a tiro, scardinandone la fragilità e la vanità.

Sarebbe facile dire che Michele Murri ci è vicino, e affermare che il suo continuo attentare alla logica, il suo modo di vigilare sullo sguardo degli altri, il suo deviare continuo dal senso delle parole e delle intenzioni, assumendone la letteralità, è un filtro che, prima o poi,  ognuno di noi ha temuto o desiderato.

Come sarebbe anche facile dire che Michele, come ogni pazzo che si rispetti, è un forsennato contestatore della vita e del suo senso.

La prima versione della commedia risale al 1925 e dunque è la prima volta che in un lavoro di Eduardo compare la follia. Nonostante il grande successo tributatole negli anni della compagnia Scarpetta e poi nelle stagioni del Teatro Umoristico, come altre commedie dei “giorni pari”, Ditegli sempre di sì a un certo punto venne messa da parte. Probabilmente, per attenuare, dopo la separazione artistica dei due fratelli De Filippo, il ricordo dell’interpretazione di Peppino nei panni di Luigi Strada, il personaggio dell’attore, lo studente pazzo di teatro.

Come il Bernhard di Minetti, anche Eduardo crede infatti che il rapporto tra l’attore e la pazzia sia consustanziale all’arte drammatica. E’ da notare come, pur facendo molto ridere, a partire da certi anni, Ditegli sempre di sì sia stata sempre definita una “commedia dolorosa”.

Frutto di successive elaborazioni, e per un certo tempo, nel suo derivare dalla farsa scarpettiana, lasciata aperta all’improvvisazione, Eduardo provvide a darne una versione definitiva e italianizzata in occasione della sua regia televisiva del 1962, in cui, a mio parere, rivestendo ancora una volta i panni del protagonista, si produsse in una delle sue più grandi interpretazioni. 

Il tema della pazzia ha sempre offerto spunti comici o farseschi, ma di solito è giocato a rovescio, con un sano che si finge pazzo. Invece, in Ditegli sempre di sì il protagonista è realmente pazzo, da cui il dolore, e il senso di minaccia che pervadono l’opera.

Tra porte che si aprono e si chiudono, equivoci, fraintendimenti, menzogne, illusioni, bovarismi, lo spettatore si ritrova in un clima sospeso tra la surrealtà di Achille Campanile e un Pirandello finalmente privato della sua filosofia, irresistibilmente proiettato nel pastiche. 

Via via che si avvicina al finale, il fantasma delle apparenze assume in Ditegli sempre di sì un andamento beffardo, sino a sfiorare, nel brio del suo ambiguo e iperbolico disincanto, una forma spiazzante, la stessa che, anni dopo, il genio di Thomas Bernhard riassumerà in una scarna, e micidiale, domanda: “E’ una commedia? E’ una tragedia?”